La strage degli studenti di Peshawar ha lasciato
ulteriori strascichi repressivi nelle aree tribali (Fata) e nel territorio pakistano.
Nella provincia detta Khyber Agency è stato colpito a morte un noto comandante
talebano denominato Saddam. Lo comunicano le forze di polizia pakistane
responsabili dell’azione che hanno anche ferito suoi sei complici. L’ucciso era
sospettato d’aver favorito l’incursione nell’istituto dov’è avvenuto il
massacro. A seguito della massiccia “azione antiterroristica” lanciata dall’estate scorsa nel nord Waziristan dal
governo Sharif molti miliziani Tehreek-e-Taliban sono transitati nel Khyber,
che ora viene investito dalla repressione di terra e dagli attacchi mirati coi
droni. S’amplia, dunque, il territorio in cui si riversa uno scontro raccontato
solo dalle parti in causa, perché i cronisti locali e quelli di testate che
possono permettersi inviati sono tenuti lontani dall’esercito pakistano e dai
fondamentalisti. I militari sostengono d’aver “finora ucciso 1.700 terroristi,
perdendo 126 soldati”. I portavoce dei TTP danno altri numeri che, in genere, nascondono
le proprie perdite e lamentano uccisioni di civili.
Intanto a Islamabad una corte ha ordinato agli
agenti di arrestare un mullah di nome Aziz, che nella Moschea Rossa predicava a
favore delle vendette talebane. Il chierico sosteneva la tesi già illustrata in
un comunicato dei Tehreek con cui si giustificava l’uccisione dei figli di militari
come vendetta per quanto l’esercito pakistano sta provocando su civili e
bambini del Waziristan. Una legge del taglione combattuta con la stessa
filosofia, sul fronte della repressione mirata e generalizzata, e ora su quello
del ripristino delle punizioni estreme reintrodotte per l’occasione. Nel Paese
l’episodio ha rinfocolato l’odio fra le parti così la pena capitale - accantonata
per alcuni anni - torna quale condanna estrema, e già s’annuncia l’esecuzione
d’una cinquantina di prigionieri talebani. Si susseguono anche notizie su
guerriglieri colpiti, 39 sostiene un’odierna agenzia, che però avanza il dubbio
che gli uccisi siano solo sospettati d’insorgenza. Se l’attività repressiva di
Islamabad venga coordinata con quella pianificata dalle forze afghane del
governo Ghani, secondo un patto recentemente avviato, non è dato sapere.
Certo è che in questi giorni anche la provincia
di Kunar, territorio a cavallo dell’antica ‘linea Durand’, ha registrato
l’uccisione di 150 talebani. Quanti di questi morti possano essere riconosciuti
come guerriglieri sicuri, è sempre un busillis. Dati certi forniti, dall’Unama
(United Nations Assistance Mission of Afghanistan), riguardo all’intervento
della missione Nato, dicono che nel 2014 i famigerati “danni collaterali” (uccisione
di civili) sono aumentati del 19% rispetto al 2013, con una crescita del 33%
fra i bambini e del 12% fra le donne. Corpi e corpicini finiti sotto le bombe
dei caccia statunitensi e britannici, oppure colpiti dai missili sganciati da
droni. Mentre le vittime di attacchi di terra provocate da Ied o da esplosioni
innescate da kamikaze sono da addebitare per oltre il 70% dei casi alla resistenza
talebana. Anche per quest’anno missione Isaf e statistica di morte sono andate
ad aggiungere cifre ai miliardi di dollari (finora 104) spesi solo per aiuti a
sicurezza, barriere, recinzioni di filo spinato mentre la povertà dilaga.
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