Presente in Italia per un tour di contatti politici Hassan Mohammed Ali,
membro dell’Alto Consiglio kurdo e rappresentante esteri del Partito
dell’Unione Democratica, ha esposto alcuni nodi centrali che la sua comunità
presente in Siria si pone di fronte alla crisi che attanaglia il Paese.
Ginevra 2 – “Perché quest’assise prevista fra poco più di un mese sia un concreto
momento di confronto e superamento fra i due blocchi: Russia, Cina, Iran a
difesa di Asad; Arabia Saudita, Qatar, Turchia e forze occidentali in appoggio
ai ribelli, jihadisti o meno, c’è bisogno che tutti gli attori esterni
accettino in quella sede la presenza della società civile, multietnica e multiconfessionale
che vive nel territorio. Quali esponenti d’una comunità ben organizzata,
seppure duramente colpita dalla guerra civile, da stragi, fughe, allontanamenti
forzati diciamo che non si può sottovalutare l’entità del dramma. Le cifre
parlano chiaro: accanto ai centomila morti ad altrettanti feriti e prigionieri,
si contano sette milioni di profughi, in gran parte donne vecchi e bambini, due
milioni all’estero (Libano, Turchia, Giordania le nazioni più coinvolte),
cinque milioni nelle aree siriane dove finora non imperversano i combattimenti”.
Salafiti – Secondo Hassan Ali le componenti jihadiste sono cresciute
esponenzialmente portando con sé un esplicito disegno politico. I salafiti, che
contavano un 5% di adesioni, hanno superato il 50%, molti sunniti moderati
stanno appoggiando il loro fondamentalismo e questo potrà diventare un problema
per la stessa Europa. Con ciò i kurdi di Siria non intendono sostenere l’intervento
armato esterno. “La collettività non si riconosce nelle due componenti in
conflitto – ripete Ali - abbiamo subìto massacri per mano jihadista e dell’esercito
di Asad (negli ultimi mesi ad Aleppo con un uso massiccio di carri armati che
cannoneggiavano sulle abitazioni civili). Le nostre zone sul confine turco sono
oggetto di continui assalti jihadisti che da quel territorio s’infiltrano, il
governo di Ankara propone di alzare un muro materiale per bloccare l’uscita dei
profughi mentre da lì consente l’ingresso di guerriglieri che attentano alla
vita di civili. In occasione dell’11 settembre, data simbolo per i qaedisti,
abbiamo dovuto subìre nuove feroci offensive”.
Terza via – I kurdi di Siria confidano moltissimo nei colloqui di Ginevra 2, sperano
venga superata la logica dei fronti contrapposti perché non stanno né col
regime dittatoriale di Asad né col jihadismo fanatico che sogna emirati ad
esclusione di altre confessioni ed etnìe. “La soluzione democratica – dice Ali
- è la prospettiva che maggiormente si rifà alla storia siriana, un coacervo di
popoli che devono coesistere e operare, non pensare a privilegi, esclusioni e
sopraffazioni. Asad ha fallito perché perpetua un sistema accentratore e
chiuso, c’è bisogno di creare rappresentanze che rispettino ogni componente con
finalità pacifiche e di cooperazione”. Tutto ciò contro le ingerenze di chi
prospetta scorciatoie con la frantumazione del territorio a vantaggio di
nazioni forti in odore d’egemonia. La crisi duratura è pericolosa così come la
sopraffazione di una o più parti e può costituire un precedente incendiario
visto che quel che accade in Siria si riverbera sull’intero Medio Oriente. Le
zone abitate dai kurdi sono ricche di petrolio (60% della produzione nazionale)
più grano e cotone. “Noi non siamo disposti a cedere le terre che abitiamo da
secoli - dichiara Ali - vogliamo cooperare con altri gruppi etnici e politici, per
questo dovremo avere voce a Ginevra.
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