martedì 12 marzo 2024

L’Italia armata abbatte droni Houthi

 


Secondo l’ex affarista delle armi Guido Crosetto, da due anni ministro della Difesa nel governo Meloni: “L’equipaggio della Duilio è stato bravo ad abbattere due droni“. I velivoli senza pilota erano stati lanciati nella notte dai guerriglieri Houthi, ma non è chiaro se fossero diretti contro il cacciatorpediniere italiano che pattuglia il Mar Rosso, partecipando alla missione dell’Unione Europea denominata Aspides, oppure verso mercantili di passaggio. L’orgoglio del dicastero, prim’ancora che della Marina militare, inanella il terzo abbattimento di drone in pochi giorni perché, a detta del ministro, gli Ansar Allah, i partigiani di Dio stanno dirigendo i propri “fuchi ronzanti” contro le navi che vigilano il tratto di mare fra Mokha e Aden, entrambe località yemenite in cui agiscono gli Houthi. Al contrario il loro portavoce ribadisce: “Non abbiamo preso di mira alcuna nave italiana, i nostri obiettivi sono quelle britanniche, statunitensi e israeliane. Se l’Italia vorrà coinvolgersi nella guerra contro di noi, decideremo”. Preciso e perentorio. Ma attualmente in via Venti Settembre, lo spirito è quello dei La Marmora e Cadorna, e respirare polvere da sparo diventa essenziale. Così, più zelanti di quanto prevede la stessa operazione velenosa nel Mar Rosso, i comandi della Marina in piena sintonia col ministro della Difesa passano all’azione e mettono il Belpaese in una condizione di verifica, secondo i personalissimi parametri che si danno i ‘partigiani di Dio’. Peccato, perché l’Italia potrebbe svolgere mansioni negoziatrici anziché incarnare il ruolo dell’avanguardia offensiva nell’intricata vicenda della ribellione e repressione lunga quasi un quindicennio in quel travagliato territorio.

 

 
Altri nostri governi non s’erano schierati né con né contro gli Houthi, evitando le forniture d’armi alle monarchie della ‘Cooperazione del Golfo’ che dal 2015 bombardano l’entroterra yemenita, distruggendone anche il patrimonio artistico e architettonico, nella capitale Sana’a e in altre regioni. Finora gli screzi missilistici hanno coinvolto l’aviazione e la marina francesi, la fregata britannica HMS Richmond, alcune unità del Central Command statunitense di stanza in quel tratto di mare e una nave mercantile con la bandiera di Singapore. Certo, da quando i guerriglieri yemeniti minacciano attacchi lungo le proprie coste in solidarietà con la popolazione di Gaza sottoposta a massacri indiscriminati e vessazioni alimentari da parte di Israele, la tensione è altissima. Per non rischiare gran parte delle compagnìe di navigazione ha scelto di rinunciare a quella rotta sino al canale di Suez, e dall’Europa all’Asia e viceversa circumnavigano l’Africa. Solo quest’ultimo commercio s’attesta al 40% degli scambi fra i due continenti, mentre per il Mar Rosso passano il 12% delle merci mondiali. In tali condizioni la percorrenza s’allunga di due settimane, le spese di noleggio marittime e assicurazioni fanno lievitare il prezzo delle merci, che comunque vengono scaricate sui Pil dei singoli Paesi e sui prezzi delle merci al dettaglio. Perciò dei comportamenti dei governi nazionali e dell’Unione ne risentono quei cittadini europei chiamati alle urne il prossimo giugno e i loro omologhi asiatici. I sostenitori della diplomazia in luogo della guerra potrebbero compiere un passo semplice, semplice: riconoscere quale legittimo governo yemenita quello dei rivoltosi, al posto dei cloni fantoccio inventati da Washington e Riyad. E l’Italietta, in cerca di glorie belliche internazionali, farebbe meglio a orientare verso la diplomazia talune pose di esibizionismo militare

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