Secondo
l’ex affarista delle armi Guido Crosetto, da due anni ministro
della Difesa nel governo Meloni: “L’equipaggio
della Duilio è stato bravo ad abbattere due droni“. I velivoli senza pilota
erano stati lanciati nella notte dai guerriglieri Houthi, ma non è chiaro se
fossero diretti contro il cacciatorpediniere italiano che pattuglia il Mar
Rosso, partecipando alla missione dell’Unione Europea denominata Aspides, oppure verso mercantili di
passaggio. L’orgoglio del dicastero, prim’ancora che della Marina militare,
inanella il terzo abbattimento di drone in pochi giorni perché, a detta del ministro,
gli Ansar Allah, i partigiani di Dio
stanno dirigendo i propri “fuchi ronzanti” contro le navi che vigilano il
tratto di mare fra Mokha e Aden, entrambe località yemenite in cui agiscono gli
Houthi. Al contrario il loro portavoce ribadisce: “Non abbiamo preso di mira alcuna nave italiana, i nostri obiettivi sono
quelle britanniche, statunitensi e israeliane. Se l’Italia vorrà coinvolgersi
nella guerra contro di noi, decideremo”. Preciso e perentorio. Ma
attualmente in via Venti Settembre, lo spirito è quello dei La Marmora e
Cadorna, e respirare polvere da sparo diventa essenziale. Così, più zelanti di
quanto prevede la stessa operazione velenosa nel Mar Rosso, i comandi della
Marina in piena sintonia col ministro della Difesa passano all’azione e mettono
il Belpaese in una condizione di verifica, secondo i personalissimi parametri
che si danno i ‘partigiani di Dio’. Peccato, perché l’Italia potrebbe svolgere mansioni
negoziatrici anziché incarnare il ruolo dell’avanguardia offensiva
nell’intricata vicenda della ribellione e repressione lunga quasi un
quindicennio in quel travagliato territorio.
Altri nostri governi non s’erano schierati né
con né contro gli Houthi, evitando le forniture d’armi alle monarchie della ‘Cooperazione
del Golfo’ che dal 2015 bombardano l’entroterra yemenita, distruggendone anche
il patrimonio artistico e architettonico, nella capitale Sana’a e in altre
regioni. Finora gli screzi missilistici hanno coinvolto l’aviazione e la marina
francesi, la fregata britannica HMS
Richmond, alcune unità del Central
Command statunitense di stanza in quel tratto di mare e una nave mercantile
con la bandiera di Singapore. Certo, da quando i guerriglieri yemeniti
minacciano attacchi lungo le proprie coste in solidarietà con la popolazione di
Gaza sottoposta a massacri indiscriminati e vessazioni alimentari da parte di
Israele, la tensione è altissima. Per non rischiare gran parte delle compagnìe
di navigazione ha scelto di rinunciare a quella rotta sino al canale di Suez, e
dall’Europa all’Asia e viceversa circumnavigano l’Africa. Solo quest’ultimo
commercio s’attesta al 40% degli scambi fra i due continenti, mentre per il Mar
Rosso passano il 12% delle merci mondiali. In tali condizioni la percorrenza
s’allunga di due settimane, le spese di noleggio marittime e assicurazioni
fanno lievitare il prezzo delle merci, che comunque vengono scaricate sui Pil
dei singoli Paesi e sui prezzi delle merci al dettaglio. Perciò dei
comportamenti dei governi nazionali e dell’Unione ne risentono quei cittadini
europei chiamati alle urne il prossimo giugno e i loro omologhi asiatici. I
sostenitori della diplomazia in luogo della guerra potrebbero compiere un passo
semplice, semplice: riconoscere quale legittimo governo yemenita quello dei
rivoltosi, al posto dei cloni fantoccio inventati da Washington e Riyad. E
l’Italietta, in cerca di glorie belliche internazionali, farebbe meglio a
orientare verso la diplomazia talune pose di esibizionismo militare
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