Inoltre formazioni che hanno poco più d’un decennio di vita, come Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal tuttora primo ministro nel governo locale di Delhi, sono frutto delle massicce manifestazioni anti-corruzione del 2011, rivolte contro quel ceto dirigente cui la famiglia Gandhi appartiene (magari non direttamente Raoul ma mamma Sonia sì). Ecco l’ennesima contraddizione. Insomma i nodi sono vari e per poter convincere l’elettorato della bontà d’una coalizione che vuole (vorrebbe) ricondurre i rapporti interni sui binari di quella convivenza azzerata dall’esasperazione fondamentalista di settori del partito di governo, gli oppositori dovranno mediare e tollerarsi a vicenda. La scommessa è riuscire a farlo. Perché avvicinare il socialisteggiante Ashish Yadav di Samawadi Party al sulfureo esponente di Shiv Sena, Sanjay Raut, che non diversamente da tanti estremisti hindu lancia frecciate, non solo verbali, sui cittadini islamici chiedendone l’esclusione dal voto (sic) “I musulmani vengono usati come banche di voto, per questo è giusto che quel diritto venga allontanata” (sic) non si sarà impresa improba. Magari Raut si sarà ravveduto, magari no. In realtà il suo partito si sostiene sul pilastro ideologico della razzistica hindutva, né più né meno che il Bharatiya Janata Party, con cui peraltro ha cooperato per un periodo, prima d’un divorzio politico dettato da interessi di potere, non da divergenze ideologiche. E aderire al listone d’opposizione da parte di Uddhav Thackeray, figlio di Bal Keshav il fondatore cinquant’anni fa di Shiv Sena, può essere finalizzato a uscire dall’isolamento al quale la politica del Bjp ha costretto voci minoritarie dell’induismo organizzato. A chi osserva dall’esterno appare strano che un’elezione, per quanto strategica sia, faccia avvicinare le strategie anticomuniste di Shiv Sena con gli attuali progetti del Partito Comunista dell’India. Gli annali raccontano che decenni addietro nell’area di Mumbai Shiv Sena scippò ai comunisti il controllo dei sindacati dell’industria tessile presente sul territorio. Ma le giravolte del clan Thackeray (anche costoro in fondo hanno stabilito un controllo familiare sul partito) sono state varie, e da rivali di comunisti e del Congresso oggi si propongono sodali. Come fanno quest’ultimi ad accettarne la compagnìa è il mistero che, forse, si spiega solo con l’anti “modismo”.
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