Centomila rupie, quattrocentocinquanta dollari, è costato all’ex premier pakistano Khan restare a piede libero. Per le tasche d’un ex campione strapagato come lui fu, si tratta d‘una mancetta che può permettersi. La Corte che stamane ha avviato il dibattimento per una sua eventuale incriminazione per terrorismo rimanda tutto alla seduta di mercoledì prossimo. Per nulla contento Khan continua a lanciare commenti al vetriolo su un Pakistan “deriso in tutto il mondo che si comporta come una Repubblica delle banane”. Mentre i commentatori locali - già preoccupati per uno sviluppo violento del conflitto fra fazioni, coi sostenitori del Pakistan Tehreek-e-Insaf mobilitati attorno all’abitazione del proprio leader per impedire fisicamente ai poliziotti di portarlo via, qualora i giudici dovessero disporre l’arresto - dichiarano che la crisi è apertissima. Infatti la cauzione non esclude il fermo dell’accusato per le prossime battute. La battaglia di Khan contro chi l’ha spodestato nello scorso aprile - i partiti alleati - e chi a suo dire avrebbe architettato la manovra - la Casa Bianca che gli critica la libertà di azione in politica interna (aperture al fondamentalismo) ed estera (avvicinamento a Russia e Cina) - trova, sempre secondo le sue valutazioni, una novità assoluta sullo scenario nazionale: cittadini comuni che si mobilitano spontaneamente senza spinte di partito. Infatti il primo ministro disarcionato considera le mega manifestazioni di massa a suo favore, un fenomeno che prescinde dall’organizzazione del suo stesso partito. Nelle piazze stanno scendendo quei cittadini che hanno toccato con mano il suo impegno contro la corrotta linea dei gruppi familiari, un cancro nel panorama interno, i cittadini che non temono neppure la possibile repressione di polizia ed esercito.
Tale fidelizzazione rientra nella fiducia conquistata per l’impegno governativo precedente e, in queste settimane, per l’opposizione alla coercizione con cui l’esecutivo Shahbaz cerca di bloccarlo. Khan denuncia ancora la minaccia a cronisti a lui vicini, oltreché il sequestro e la tortura del suo collaboratore di rango Shahbaz Gill. Per queste dichiarazioni verrà giudicato secondo le leggi sull’antiterrorismo: starebbe infangando le Istituzioni. L’ex premier, nient’affatto sprovveduto, sta giocando forse la partita della vita e vuole condurla a fondo. Vista la notorietà e la particolarità della vicenda – nella storia dello Stato pakistano nessun primo ministro è stato mai sfiduciato, per giunta a un anno dalle elezioni – riesce a restare sotto i riflettori mediatici. Così dice: gli ufficiali che hanno compiuto atti contro la legge (le sevizie al suo collaboratore) sono stati imbeccati dall’alto. La magistratura dovrà svelare i contorni dell’oscura questione, essa sì degna di terrorismo oppure di un intrigo internazionale. In realtà, tutto ciò sta accadendo in una nazione dove l’Intelligence è dalla nascita addestrata dalla Cia, che in fatto d’illegalità non si fa scrupoli, dunque i sospetti di Khan metterebbero quasi in discussione la sua scaltrezza. Ma è anche vero che sulla scena interna l’Isi è un attore a sé stante, poco propenso a sostenere a priori qualsivoglia governante. Sembra un controsenso ma in quella latitudine è così. Peraltro l’Inter-Service Intelligence risulta spesso concorrente delle Forze Armate, che infatti hanno una propria agenzia segreta. L’unica vicinanza fra Isi e militari consiste nel reclutamento di figure di spicco della lobby delle stellette inseriti al vertice della struttura. Costoro, però, una volta in organico assumono un orientamento in linea con l’apparato degli 007. Perciò riassumendo: nel contrasto fra Khan (Pakistan Tehreek-e-Insaf) e Shahbaz (Lega Musulmana-N) sono in ballo altre figure istituzionali: magistratura e partiti tradizionali dei clan familiari (Pakistan People Party), più Intelligence, controservizi militari, Forze Armate quest’ultime tre alla finestra in osservazione. Con la variabile di centinaia di migliaia di supporter, “i cittadini di Khan”. Seppure per decine di milioni di pakistani il cuore batte angosciato per un’inflazione a doppia cifra che ha ampiamente superato il 20%.
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