E’ un bel mix fra politica interna, estera, economia e
finanza, religione e tradizioni a determinate il colpo di mano più scenografico
attuato dalla monarchia Saud. Correlato alle faide di famiglia, già avviate da
mesi, e palesate con le epurazioni di sabato notte. Dal 1932, anno
dell’autoproclamazione a sovrano di Abdal-Aziz, la dinastia che raccoglie i
principi figli, fratelli, fratellastri, nipoti - tutti rigorosamente di sesso maschile
- aveva cercato di passarsi la corona in accordo coi rispettivi gruppi
parentali (tutti ricchissimi grazie al petrolio e agli accordi con le occidentali
‘Sette Sorelle’ in Medio Oriente) anche se non tutti abili nella conduzione
delle dinamiche nazionali. Eppure le oscillazioni e le gravi crisi
politico-militari ed economiche di fine anni Quaranta e Sessanta erano state gestite conservando il criterio
dell’unità statale e familiare. Dal 2015, con la scomparsa di re Abdullah e la
salita al trono del fratellastro Salman, la situazione sembra essersi
complicata. Non solo per la polveriera mediorientale tornata a incendiarsi,
soprattutto con la crisi siriana, ma in tutti gli addentellati proprio della
linea interna ed estera saudita. Certe voci sostengono che alla base del caos
ci siano anche problemi di salute. Sia quelli che riguardano re Salman, sulla
via della demenza pur con i non avanzatissimi 81 anni, sia il cinquantottenne
nipote bin Nayef da lui incaricato alla successione e nel giugno scorso
esautorato dal ruolo. Si dice perché malato e piegato da farmaci d’ogni tipo.
Sarà.
Di fatto a guadagnarci dalle doppie malattie, vere o presunte,
è il figlio di Salman, Mohammed bin, già investito dell’incarico di ministro
della Difesa con cui aveva iniziato a strabordare in politica estera decidendo
l’intervento saudita a fianco dell’esercito dello Yemen che reprime l’etnìa
interna ribelle Houti. L’ambizioso e, alcuni sostengono lunatico, Mohammed bin
s’è, dunque, ritrovato ancor più potente in virtù di quella decisione, letta da
altri rami della famiglia e da diversi principi come un colpo di mano molto più
che paternalista. A darsi da fare nella notte di sabato scorso è stato
direttamente il rampollo ministro e delfino di re Salaman che con l’arresto di
alcuni principi e potentissimi del regno, tuttora motivato solo genericamente
“per corruzione”, ha colpito in maniera mirata e generica. Diretto il colpo
interno alla famiglia, con cui ha disarcionato e messo agli arresti il figlio
di re Abdullah, Mutain bin, responsabile della Guardia Nazionale. In tal modo
Mohammed si garantisce il controllo totale di tutte le strutture militari
interne. Sia le Forze Armate: 300.000 uomini, comprensive di oltre 60.000
avieri (l’Arabia Saudita è la 10° nazione al mondo per spese militari e dopo
Israele è dotata della maggiore struttura aerea d’attacco del Medio Oriente).
Sia l’apparato dell’Intelligence, denominato Al-Mukhabarat al-Amma, e per
l’appunto la Guardia Nazionale che conta 225.000 unità, fra cui i reparti speciali
reclutati fra le tribù fedelissime alla dinastia, come i beduini Ikhwan. La
struttura negli ultimi quarant’anni ha ricevuto l’attenzione primaria dell’alleato
statunitense, che ha inviato oltre un migliaio di reduci dal Viet-nam
(ovviamente quelli somiglianti al colonnello Bill Kilgore di Apocalypse now, quello ‘dell’odore del
napalm al mattino’) in qualità di addestratori.
A organizzare la ‘collaborazione’ la “Vinnell Corporation”,
che guarda caso ha sede a Fairfax, Virginia, la terra della Cia. Insomma Mohammed
bin ha preparato adeguatamente il controllo muscolare del Paese, blindando la
sua persona e la linea che va sostenendo. Che ha un’impronta spregiudicata e
modernista, sia quando accentra cariche scontentando appunto altri rami della
famiglia reale, sia quando colpisce la visione più retriva del clero wahhabita
con le aperture verso i costumi femminili. La notizia della concessione della
guida alle donne ha fatto il giro del mondo, e c’è già chi si attende ulteriori
passi come l’annunciata mescolanza col genere maschile in certi luoghi, fra cui
le manifestazioni sportive. Alcuni sheikh fermati e accusati di corruzione
ribattono che si finirà col togliere il velo alle donne, a farle mostrare le
gambe, questi sì passi di corruzione della tradizione religiosa. Ma il
principino sembra voler limitare il potere della componente conservatrice,
sostenendo che occorre aprirsi al mondo e pure alle altre fedi mostrando tolleranza.
Gli stessi osservatori della società saudita cercano di comprendere se le mosse
di Salman junior siano animate da vera convinzione o diventino manovre tattiche
per combattere chi fra i suoi simili s’appoggia all’interpretazione reazionaria
dell’Islam per continuare solo a curare i propri interessi. Il rapporto fra
businessmen e clero, seppure quest’ultimo manchi di gerarchia, si è consolidato
nei decenni della monarchia, lo scambio risultava reciproco: la fedeltà alla
corona era contraccambiata con l’adesione alla tradizione.
Questo patto sembra subire alcune incrinature se addirittura i
vertici della famiglia reale entrano in conflitto così aperto. Le scelte messe
in atto dal principe Salman avevano allontanato dal Paese, ben prima dello
scorso week end, alcuni affaristi locali. Evidentemente se legati alla
tradizione, al di là di petrodollari e affari, essi leggevano fra le righe e
avevano compreso l’andamento di talune scelte dinastiche. Lo dimostrano le
vicende di questi giorni e alcuni protagonisti, anche involontari. Due nomi: il
principe Alwaleed bin Talal e il principe Mansur bin Muqrin. Il primo è il più
noto fra gli epurati. Un potentato del capitale collocato da Forbes al 41° posto fra i ricconi della
terra con 17 miliardi di dollari di patrimonio, ma altre riviste parlano di 20
miliardi di dollari collocandolo ancora più in alto nella graduatoria. La sua “Kingdom
Holding Company” ha quote azionarie in Apple, Amazon, Boeing, Citigroup, Coca
Cola e Pepsi Cola, McDonald’s, Ford, Kodak, Walt Disney e in altre decine di
aziende fra cui Fininvest. Forse ha pagato la posizione presa assieme ai
congiunti di opporsi alla nomina di Mohammed bin quale successore di Salman;
altri sostengono che invece paghi le critiche a un progetto del principino:
mettere sul mercato “Aramco”, la storica compagnia petrolifera nazionale. La
smania di innovazione può produrre anche idee balzane, bisogna vedere come la
prende un elemento come lui pieno del suo ego e stizzoso. Perché nelle scosse
telluriche in corso s’inseriscono anche episodi misteriosi e qui veniamo a
Mansur bin Muqrin. Proprio ieri, sorvolando la provincia di cui è governatore,
Asir sul confine yemenita, l’elicottero su cui viaggiava è caduto. Con lui sono
morti alcuni ufficiali. Sull’incidente indagano Intelligence e Guardia Nazionale,
verrà fuori qualcosa?
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