Cosa cercava nelle sue osservazioni dentro e ai margini di
Riyadh lo studioso Pascal Ménoret quando ha speso mesi e mesi dietro alla moda
del drifting? Che è un genere di guida giocata su acceleratore e volante, facendo
ondeggiare, slittare, sbandare l’auto, tirando a manetta fra il delirio del
conducente e passeggeri esagitati sporti dal finestrino. Il fenomeno è stato
ufficializzato anche come gara (sic), per ora solo locale, senza riconoscimenti
di organismi internazionali. Lateralmente si trascina comportamenti marginali
da fuori di senno, gente che guida così per certi rettifili della capitale
saudita in mezzo al traffico, inducendo la polizia a intervenire più o meno
duramente. Questo comportamento è solo il più vistoso fra quelli indagati dal
ricercatore che opera presso l’Università di Cambridge, la stessa del nostro
Regeni, trattando sicuramente tematiche meno scomode per i Palazzi. Ma nel suo già
famoso Joyriding in Riyadh Ménoret va
oltre il fenomeno in sé. Perché sembra che questi cacciatori di emozioni adrenaliniche,
siano solo parzialmente simili alla ‘Gioventù bruciata’ messa su pellicola da Nicholas
Ray. Manifestano sicuramente marginalità e disagio, ma anche un desiderio di
evasione dal vuoto di obiettivi che crea un buco esistenziale.
Tutto ciò si lega a problemi sovrastrutturali connessi alla storia
politica e sociale della monarchia, modernizzata negli anni Trenta e rimasta
bloccata per decenni, in una nazione giunta a quota 30, per milioni di abitanti
e per età di oltre la metà dei cittadini. Per quel che il ricercatore ha visto
e scritto, le ‘corse della follìa’ sono praticate sì, da qualche rampollo di
buona famiglia, ma soprattutto da tanti ragazzi del deserto. Dunque dai figli di
tribù beduine negli ultimi anni inurbatisi in una Riyadh diventata metropoli da
sei milioni di cittadini. Lì, al di là degli avveniristici grattacieli di rappresentanza-affari-finanza,
esistono periferie e ghetti, ceti marginali e sottomarginali. Luoghi non
necessariamente per minoranze etniche e religiose (in genere perseguitate), ma dove
sopravvivono gli stessi sunniti diciamo fuori dal coro, coloro poco ossequiosi
e flessibili ai voleri di una corona tradizionalista e antica in via di
rinnovamento. Da qui, secondo Ménoret, partono i giovinastri che rubano auto
per il gusto di farsi una guidata a 240 orari, rischiando l’osso del collo. In
genere fanno la bravata, pericolosa per loro e per chi dovessero tamponare, e
fuggono. Se la polizia li pizzica, usa la mano pesante e non solo la mano. Strana
Arabia, mondo antico e moderno, che il nuovo volto del regime – Mohammed bin
Salman – vuole ulteriormente modernizzare.
Ma come? e per fare cosa? Questo è il percorso di comprensione che
i politologi devono seguire, alla luce dei molteplici passi interni ed esterni
compiuti dal principe che ha scalato rapidamente le vette del potere, sia per
la sopraggiunta debolezza paterna, sia per l’appoggio di alleati vicini (alcuni
sceicchi locali e di altri Paesi del Golfo ridotti a vassalli) e di protettori
lontani (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) ciascuno stretto ai propri
interessi vecchi e rinnovabili. Con le mutazioni in atto del quadro
mediorientale i Saud decidono di stringere le fila nel cosiddetto Consiglio
della cooperazione del Golfo, marchiando il bene di alleati di ferro (Emirati
Arabi) e subordinati (Bahrein, Oman più lo Yemen da conquistare manu militari).
Emarginare e sconfiggere il male delle pretese qatariote, chiarire al Kuwait
qual è l’asse vincente nei confronti del nemico di sempre: l’Iran. Tali passi
coinvolgono in un fiato politica estera locale, regionale e internazionale,
visto che dietro le alleanze geostrategiche e finanziarie si collocano anche i
grandi della terra; inoltre si dà un riflesso alla politica interna. Bin Salman
ha accelerato tutto questo, e sembra guidare il Paese come quei giovani del
drifting fanno con l’auto.
Ma la corsa di MbS, all’apparenza folle, ha direzioni precise.
Crea un nuovo blocco di adesioni, cercando di scardinare i ‘tradimenti’ familiari
di personaggi come bin Nayef, morbido col Qatar e dunque sospetto, fa anche
piazza pulita delle tante pretese di figli, figliastri, nipoti e pronipoti del
clan Saud, tutti pretenziosi coi sussidi della corona mentre lanciano
incontrollati affarismi personali. Con simili repulisti il principe si fa
nemici in casa, ma lui apre la casa-nazione (non i forzieri) al sogno della
modernità che può offrirgli consenso attorno alle riforme (la legge sulla guida
alle donne, la loro partecipazione alla vita pubblica senza i guinzagli del ‘parentame’).
Detta all’occidentale: mosse populiste, rivolte qui alle donne oppure ai
giovani verso cui il futuro re mira a contenere il ruolo repressivo della
polizia religiosa in fatto di comportamenti trasgressivi su passatempi, consumo
di alcol e rilassamento dei costumi. Poi per riequilibrare l’impatto e la forza
del wahabismo, che caratterizza gran parte dell’Islam saudita sul fronte
religioso e sulla regolamentazione dello Stato, tantoché sono le
interpretazioni di Corano e Summa a fare le leggi, l’ammansisce rivolgendola
all’esterno. Così gli imam salafiti non si sentono emarginati e possono
continuare a predicare le loro jihad.
Riassumendo: minore repressione interna e più esterna,
cercando nuovi nemici. Così rinfocolando la storica rivalità sunnismo-sciismo,
con quest’ultimo nel ruolo di infedele da combattere sul piano teologico per
questione di purezza dell’Islam, di conservazione dei luoghi santi e della
dottrina, si può rilanciare quell’invadenza geopolitica ufficiale, già da un
biennio in atto nello Yemen contro gli sciiti Houti. Quella ufficiosa,
incentrata sul terrorismo jihadista va avanti da tempo, introdotta su scenari
sempre nuovi. Scendere su ulteriori terreni di confronto-scontro nel Medio
Oriente vicino e lontano, sino a minacciare direttamente l’Iran, trova
l’abbraccio dell’America, non solo quella trumpiana, e dei servitori
occidentali della Nato. E può compattare la gioventù senza stimoli e passioni,
peraltro marginalizzata nel Paese. Ovviamente è un azzardo, perché le
‘generazioni del fronte’, proprio l’Iran khomeinista insegna, necessitano di
pulsioni ideologiche molto forti. Ma i panorami degli ultimi anni tali
motivazioni le hanno trovate nei miliziani irregolari che combattono più delle
truppe irreggimentate. Quale azzardo di guerra bin Salman intenda inseguire
forse è presto per dirlo, però la sua modernizzazione punta solo alla salvezza
della propria stirpe, non dei sauditi, a danno di una normalità di vita. Chi ha
introdotto simili modelli basati sull’aggressione mascherata da difesa lo
comprende benissimo. Per questo Israele approva e plaude.
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