Fra i compiti della
struttura statunitense Joint Special
Operations Command, ricordati di recente (http://enricocampofreda.blogspot.it/2017/03/afghanistan-una-guerra-ravvivata-dai.html) - dalla ‘guerra al terrore’
di bushana memoria alla ‘rivoluzione obamiana’ che ha intrecciato
iperinterventismo e uscita - si collocano le missioni particolari, effettuate
con caccia e droni. La specializzazione ha ricevuto molte contestazioni da
parte delle stesse Nazioni Unite per gli scellerati massacri di civili, colpiti
nonostante il mantra delle “operazioni chirurgiche mirate”. Un esempio
particolarmente insanguinato riguarda i territori di confine fra Afghanistan e
Pakistan, le aree tribali denominate Fata, che vedono un’alta presenza di taliban,
anche perché costoro cercano di
reclutare giovani nei tanti campi profughi sorti in quelle terre e sempre
arricchiti da nuovi flussi di sfollati da zone dove il conflitto è cronico. La Central Intelligence Agency, che suggerisce
e supervisiona simili operazioni, definisce ‘ibrida’ un’attività rivolta alla
sorveglianza e agli attacchi militari. Entrambi iniziati in sordina, e per
lungo tempo né negati né ammessi dalle istituzioni statunitensi militari e
politiche. Ma dal 2004 i sorvoli sui cieli delle Fata e i bersagli da colpire
sono divenuti crescenti, si rivolgevano ai gruppi dei Tehreek-e Taliban
pakistani, che in quella fase non erano affatto interessati alle questioni
afghane.
Alcuni studi del Bureau of Investigative Journalism, che
si sta occupando del fenomeno combattentistico dei TTP dalla fase dei loro crudelissimi
attentati del 2014-16 (scuola di Peshawar, chiese cristiane e parco giochi di
Lahore) fino all’uccisione del neo leader Mansour in Baluchistan, sostengono
che il crescendo stragistico talebano sia un effetto-ritorsione proprio per i
continui massacri operati sulla popolazione civile. Anche gli omicidi mirati
destabilizzano non poco il quadro geopolitico e gli stessi rapporti
diplomatici: l’eliminazione di Mansour era fortemente osteggiata da Islamabad,
che ovviamente pensava alla sua sicurezza interna, messa in ginocchio dagli
eventi seguenti. Il governo pakistano vorrebbe una compartecipazione a certe
decisioni, chiede che si evitino gli attacchi clamorosi e avverte Washington
dell’effetto boomerang che viene innescato dal puntare il mirino sui TTP o sui
miliziani di Haqqani. La Cia se ne infischia dei consigli. Lo fece durante le
gestioni di Panetta e Petraeus, l’ha continuato a fare con Brennan, che ha
supportato e incrementato il ‘piano droni’ ordinato da Obama. Un programma
zeppo di contraddizioni, con buchi informativi casuali o voluti ed effetti
devastanti sulla popolazione di ciascuna area geografica interessata. Anche quando
il piano ha trovato ulteriori applicazioni in Yemen e Somalia i “danni collaterali”
sono risultati copiosi e naturalmente odiosi. Ma alla Casa Bianca se ne
infischiano, e Trump fa pensare che la musica proseguirà. La superficialità e
gli errori commessi in talune operazioni di Intelligence si trasformano in colpi
portati su obiettivi sbagliati.
A questi s’aggiungono
uccisioni immotivatamente allargate. Ci riferiamo sia ai casi in cui non si va
tanto per il sottile e per colpire un bersaglio importante si fanno fuori anche
i miliziani o le guardie del corpo che l’accompagnano, sia ad altre situazioni in cui si spara nel mucchio,
eliminando chi ha la sfortuna di trovarsi nel momento sbagliato nel luogo
sbagliato e finisce sulla linea del fuoco. Operazioni tutt’altro che
chirurgiche diventano automaticamente stragiste. Il passo successivo è quello
di nascondere, per quant’è possibile, i danni e sottostimare il numero delle
vittime. Il sistema coinvolge buona parte dei media mainstream, seppure in
certi casi non tutti, e punta alla disinformazione o all’informazione pilotata
che, nel caso dei droni, cavalca la storia della precisione tecnologica del
mezzo. Notizia in gran parte vera, peccato non si entri nel merito alla cruda
realtà degli eccidi di civili. Questi portano acqua alla causa fondamentalista
che, ad esempio, nelle Fata trova linfa fra i giovani diseredati che sentono l’angosciosa
condizione di vivere sotto un cielo portatore di morte. Eppure questa sembra la
via “antiterrorista” del futuro. Tutte le maggiori potenze si dotano di droni e
c’è chi si chiede se si giungerà a loro utilizzo per colpire quelli nemici.
Sicuramente si eviterebbero le perdite di piloti, non dei bersagli fissi e
mobili. Comunque con un fare assai soft, perché, come ebbe a dire il principino
Harry, che da pilota ha servito la Corona in Afghanistan nel biennio 2007-2008:
“Sparare ai talebani coi droni è proprio
come un videogame“.
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