Dopo l’intervento della Guida
Suprema, anche il presidente iraniano Rohani ha risposto alle stoccate, accuse
e minacce provenienti dalla Casa Bianca. Come suo solito l’ha fatto col sorriso
sulle labbra, con lo stile diplomatico che lo caratterizza, comunque non tergiversando
sugli argomenti. Khamenei, parlando davanti a una platea di comandanti
dell’aviazione, era stato ironico e tranciante: “Ringraziamo il nuovo venuto (il presidente Trump) perché ci ha mostrato i due volti
dell’America. Lui è la prova di ciò che diciamo da più di trent’anni: ci
sarebbe sempre da parlare di corruzione politica, economica, sociale e morale nelle
amministrazioni statunitensi”. Rohani ha difeso la tela tessuta assieme al
ministro degli Esteri Zarif con estrema pazienza
e costanza: l’accordo sul nucleare. Un successo internazionale che rappresenta
la sua migliore carta di credito per un secondo mandato. Il cosiddetto Piano
d’azione globale (JCPOA) - che Trump e
il suo staff considerano carta straccia, tranne doversi confrontare con gli
altri sottoscrittori (gli alleati francese, inglese, tedesco e pesi massimi
Russia e Cina) - viene considerato da Rohani come un pilastro per il
superamento delle incomprensioni fra potenze mondiali e regionali, capace di
garantisce stabilità, pace e cooperazione contro il terrorismo. Sul tema del
terrorismo c’è stata la mina vagante gettata dal Segretario alla difesa che
Trump s’è scelto, Jim Mattis, assertore d’un Iran grande sponsor del terrorismo
di Stato. Un’uscita che riporta indietro le esternazioni della Casa Bianca di
oltre un decennio, come, e peggio, di quanto sosteneva George W. Bush anche
prima dall’arrivo ai vertici della politica iraniana di Ahmeninejad. Il fidato
uomo del presidente Usa ha puntato il dito sul corpo dei Guardiani della
Rivoluzione, componente da tempo potentissima della scena iraniana, tanto
d’aver proposto e poi imposto il citato presidente basji, l’unico Capo di Stato laico della recente storia della
Repubblica Islamica.
Pur essendo politicamente un
rivale del ‘partito dei Pasdaran’ che trova sponda sul clero conservatore dei
Meshab Yazdi, Jannati e simili, Rohani ha elogiato quella che dai giorni della
Rivoluzione (il cui 38° anniversario ricorre domani) rappresenta l’avanguardia dello Stato iraniano. Un
difensore, armato come l’esercito, dei princìpi antimperialisti sostenuti con
la caccia dello Shah, che coi suoi martiri ha tutelato della nazione dall’aggressione
di Saddam e si mostra baluardo nei contrasti d’ogni genere che possono
intervenire contro il popolo iraniano. Il presidente iraniano rilancia al
mittente: altro che terroristi i pasdaran sono i figli del nostro popolo
totalmente investiti della difesa della stabilità, della pace e della
cooperazione. Le celebrazioni festose di queste ore lo dimostrerebbero
ampiamente. Insomma Rohani tiene botta, evitando di gettare benzina sul fuoco
come certe voci interne hanno fatto nei giorni scorsi. La polemica ruotava,
appunto, sul terrorismo. Da parte statunitense si sono ricordati i 444 giorni
di assedio della propria ambasciata a Teheran durante la rivoluzione
khomeinista, quindi l’attentato del 1983 agli alloggiamenti dei reparti di
marines presenti in Libano (241 militari uccisi). La stampa iraniana ha
ricordato il sostegno e l’armamento americano di Saddam Hussein nel corso
dell’aggressione lanciata contro il Paese confinante, nonché l’abbattimento nel
Golfo d’un aereo civile delle linee iraniane (290 vittime) a opera d’un caccia
dell’US Air Force. Insomma schermaglie sviluppatesi fra twitt trumpiani e
dichiarazioni ufficiali che si sono inseguiti nei giorni scorsi, quando montava
l’irritazione americana per il test missilistico. Un test presunto “Montato ad arte dai media americani per
incitare animosità, guerra psicologica e Iranofobia“ ha ribadito il
ministro della Difesa Dehqan che ha smentito categoricamente qualsiasi manovra
militare o addestramento balistico delle proprie truppe. Così pare che lo stile
“minaccioso e sbraitante”, come l’ha
definito la stessa Guida Suprema, ottenga l’effetto contrario: anziché
intimorire “i nemici” li coagula, stimolandone l’orgoglio nazionale. E nei
confronti (e contrasti) dell’urna, per le presidenziali di maggio, potrebbe
risultare proprio la componente meno accomodante, quella di Pasdaran e clero
conservatore, ad avvantaggiarsi di quest’aria minacciosa.
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