La guerra per la terra i
sionisti d’Israele l’avevano iniziata prima della grande ondata migratoria
successiva al 1945. Una guerra strisciante contro lo stesso Protettorato
britannico, che pure li favoriva nella strategia di creare uno Stato ebraico.
Le azioni paramilitari dell’Irgun, che
già alla fine degli anni Trenta seminavano morte e terrore fra i palestinesi, poi
della banda Stern, colpivano anche i militari
britannici, rei di controllare l’area e regolamentarne l’immigrazione. L’ampia
storiografia che ha trattato la questione, e alla quale rimandiamo, non si
esime dal constatare come l’occupazione del territorio di Palestina e la privazione
del medesimo subìta dagli abitanti che portano quel nome sia stata una costante
attuata da tutto l’establishment politico ebraico: l’antico sionismo socialista
dei kibbutz, e quello rivisitato in chiave di realismo politico da ogni governo,
laburista o del Likud. Ai conflitti aperti, combattuti e vinti dall’esercito
d’Israele ben foraggiato da potenze mondiali, si sono aggiunte le continue
violazioni e le crescenti occupazioni dello spazio vitale che gli accordi
internazionali avevano ratificato con gli stati arabi sostenitori del diritto
alla patria dei palestinesi: nel 1948, 1956, 1967, 1973. Un copione reiterato a
cadenza periodica con tanto di: disattesa dei patti, crisi, guerra-lampo, occupazione
militare, estensione delle zone e della presenza israeliana, le cui avanguardie
sono soldati e coloni.
Così il popolo che ha voluto
una patria nell’antica terra degli avi, abitata anche da altre genti, invocandola
come un’irrinunciabile facoltà, accetta che il suo Stato deprivi i palestinesi degli
stessi diritti: al suolo, alla vita, al futuro. Lo fa con lo stillicidio degli
insediamenti coloniali, considerati illegali da organismi sopra le parti: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Corte
dell’Aja, quella Internazionale di Giustizia, risoluzioni snobbate dai vertici
d’Israele e considerate carta straccia. Fra le aggressioni armate - che dalla guerra
civile libanese si ripetono, sostenute dall’alibi della difesa e della
prevenzione dello status quo, che per
Tel Aviv significa conservazione di sopraffazioni crescenti - e l’introduzione nell’altrui
area, anch’essa dotata di divisa con kippà e Uzi a tracolla, quest’ultima risulta la più subdola. Ma non è
slegata all’altra, che sempre la sostiene, con ogni arma. Si tratta di due
percorsi che mirano allo stesso fine: la cancellazione della presenza palestinese.
Dalla storia, come testimonia il revisionismo interno; dalle carte geografiche
che a malapena citano la Cisgiordania, che non è nazione autodeterminata perché
non gode del diritto di governare il suo popolo, a cominciare dal principio di
riunificarne la diaspora. Di fatto il bantustan dei Territori Occupati e la
prigione di Gaza, sono due abbandoni dello stato di diritto che la Comunità
internazionale, volente o nolente, avalla da decenni.
Il disegno che utilizza il
cavallo di Troia delle colonie per snaturare l’essenza geopolitica di quegli
stessi territori offerti, quasi fossero un’elemosina, con agli Accordi di Oslo,
conserva l’obiettivo, neppure tanto celato, di recuperare con l’abuso ciò che veniva
concesso con la sottoscrizione di patti. Il colonialismo d’Israele mira alla
metamorfosi endogena degli spazi ancora in mano ai palestinesi, li assedia
dall’interno, li circonda con le proprie costruzioni circolari che hanno la medesima
funzione soffocatrice dell’edera. Come l’edera, rampicante tenace, si mostra
compatibile con la natura, Israele introduce nuclei familiari che reclamano la
volontà di esistere sull’humus
ricordato dai testi sacri come ‘terra dei padri’. Lettura unilaterale,
ovviamente, con logiche di settarismo confessionale non diverso da altri
fondamentalismi. Il problema s’accresce quando dell’illegalità ottusa, che non vuole
sentire ragioni, soprattutto quelle d’altri, se ne appropria l’istituzione massima:
il Parlamento. Che sì, in queste ore s’è diviso fra una maggioranza favorevole al
sopruso e una consistente minoranza contraria, ma che nel tempo e da tempo sta
supportando la tattica dello strangolamento di qualsivoglia entità
istituzionale palestinese. I fatti parlano più di mille firme che li
disattendono. La legalizzazione dell’illegalità diventa per Israele simile alla
sedicente difesa con cui ha costruito la sua storia recente. Una storia tristemente
bagnata di sangue.
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