mercoledì 13 aprile 2016

Il pensatoio di Al Sisi

La via del vero sull’omicidio di Giulio Regeni, che mostra il governo italiano tenere alta la bandiera della dignità e respingere i depistaggi del regime egiziano, dovrà fare i conti col Sisi-pensiero. Che è altro dalle versioni di comodo che s’alternano, tracimano, magari cozzano per incongruenza, partorite dalle teste degli uomini forti e fidati del generale-presidente. Il confronto più arduo si gioca col suo pensatoio composto da think tank e intellettuali ossequiosi. Tutti stretti attorno a un rilanciato orgoglio nazionale, in lotta contro il nemico interno della Fratellanza Musulmana e contro chi vuole insidiare la Patria: giornalisti, comunicatori, studiosi accomunati nel losco piano di screditare il nuovo corso insediato dalla “rivoluzione” del 2013. Lo sostiene, in un articolo comparso sul settimanale Al-Ahram, Yassin El-Ayouty, docente di Diritto alla New York University. Il professore si scaglia contro un precedente pezzo del New York Times possibilista su un’ipotesi di boicottaggio economico al governo del Cairo, per le reiterate gravissime violazioni dei diritti umani. E risponde indignato all’affermazione: “I militari egiziani hanno preso il potere con un golpe”.
La considera un’intollerabile ingerenza, rammenta come il 3 luglio 2013 (data dell’arresto del presidente Morsi) l’allora ministro della difesa Al Sisi rispose “alla chiamata di 35 milioni di manifestanti” dando seguito a una road map concordata con le forze civili e la Chiesa copta. L’accordo effettivamente ci fu, ma le vicende non andarono secondo la versione di comodo sciorinata nell’articolo (http://weekly.ahram.org.eg). Noi l’abbiamo raccontato negli anni scorsi, potremo tornarci. Interessante è cogliere il cammino del prof, impegnato un po’ a manipolare i fatti, per altro a esprimere personali valutazioni col fine di sotterrare il ricordo del golpe di Al Sisi, inizialmente bianco che diventerà rossissimo del sangue di centinaia di militanti islamici. El-Ayouty sorvola su quel che non serve alla sua causa: l’arresto d’un presidente eletto, la repressione di decine di migliaia di egiziani accampati per protesta davanti la moschea di Rabaa, schernendo ciò che definisce il  mito della legittimità”. Più precisamente di costoro afferma che per amore di Allah cercarono la morte, praticando quello che si può definire un “suicidio da poliziotto” (sic). Insomma incitarono i propri assassini ad aprire il fuoco. In tal modo il pensatore del presidente pacifica la mattanza, avvenuta in un giorno e una notte, di oltre mille attivisti (per la Fratellanza duemila).
Il prof vola diretto al giugno 2014 quando il voto (dato dal 35% degli elettori) ratifica la presidenza del generale secondo quel che definisce un “ordinario trasferimento di potere”. Tralasciamo certe amenità sulla guida dittatoriale della Confraternita, magari ci sarebbe stata, forse non ne hanno avuto il tempo, ma i famelici Fratelli sono accusati di quello che altrove si chiama spoil system (chi vince piazza i suoi uomini al comando). Seppure per la riscrittura della Carta costituzionale le chiamate alla cooperazione rivolte a tutti i partiti, laici in testa, furono da costoro boicottate sia prima sia dopo l’elezione del presidente islamista. Il pezzo giunge quindi allo scottante tema dei diritti umani, e partono le frecciate agli Stati Uniti che potrebbero dirigersi verso chiunque, noi siamo in prima fila per l’uccisione di Regeni. “La questione dei diritti umani è una faccenda interna” nessuno ha il diritto d’interferire. L’approccio americano è imperialista e una nazione orgogliosa come l’Egitto ha il dovere di respingerlo. Accantonando l’aplomb accademico il docente suggerisce allo storico quotidiano della East-coast di mettere “il culo fuori” dalle faccende egiziane. La via democratica intrapresa al Cairo non ha bisogno di valutatori, ogni monitoraggio è la più odiosa forma d’intervento negli affari di casa. L’avvertimento Oltreoceano ovviamente varca il Mediterraneo.

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