Non si
sa se possono risuonare tragicamente profetiche le parole pronunciate da un
attivista kurdo di Cizre, che aveva ricoperto anche incarichi amministrativi
prima di morire colpito durante scontri avvenuti nel 2012, in occasione della
cosiddetta “tempesta dei bambini”. Prima dunque, del recente coprifuoco e delle
battaglie che, secondo le fonti ufficiali, hanno fatto 279 vittime fra gli
abitanti locali e 61 fra i militari. Diceva: “Noi siamo l’ultima generazione con cui questo Stato può cercare una
soluzione. Dopo di noi c’è la generazione dell’odio con cui sarà difficile
stabilire accordi di pace. Giovani che della Turchia conoscono solo gendarmi,
polizia, procuratori, giudici che li reprimono e opprimono”. Chi di recente ha percorso le strade di
Diyarbakır e di paesi come Nusaybin, appena libere dal coprifuoco che le ha afflitte
per mesi, ha trovato ancora carcasse d’auto bruciate, muri sforacchiati dai
proiettili, voragini prodotte da granate. Ha trovato meno gente, riparata
altrove, visto che anche i dati diffusi parlano di 350.000 sfollati, come in
una guerra.
Perché
guerra c’è stata per settimane, con attacchi, rastrellamenti rivolti anche ai
civili, e guerra di logoramento verso chi restava rinchiuso in casa, anche per
ordini ricevuti dall’esercito; ma lì poteva morire di stenti, per mancanza
d’acqua, viveri, medicinali ed elettricità. Da quei campi di battaglia ai
ragazzi kurdi veniva naturale ritrovarsi nei gruppi del Movimento giovanile
patriottico rivoluzionario (YDG-H), e per chi aderiva all’ala più dura dei
Kurdistan Freedom Falcons, realizzare gli attentati che hanno seminato morte e
paura sul versante turco, coinvolgendo militari e civili di Ankara con gli attacchi
suicidi del febbraio e marzo scorsi (29 e 37 vittime). Chi vive a contatto con
gli studenti nelle scuole del sud-est appena riaperte, riferisce che per il
clima diffuso, il dolore, la prossimità con la violenza parlare di
combattimento è all’ordine del giorno. I guerriglieri sono idoli e la lotta
armata pare l’unico obiettivo, anche per coloro che solo un anno fa
discorrevano con l’insegnante d’un futuro da medico e ingegnere.
Alcuni
psicologi che osservano gruppi di bambini riscontrano in loro disturbi del
sonno, ma non paura, ad esempio, delle esplosioni, di cui distinguono il rumore
della mina da quello d’un missile. Eppure nessuno dovrebbe crescere in quelle
condizioni. Gli osservatori raccontano che in questa fase le scuole rappresentano
l’unico luogo sicuro per i bimbi privati di parchi e giardini all’aperto, dov’è
possibile incappare in qualche ordigno inesploso. Molte scuole, però, sono
inagibili, perché rese pericolanti dai bombardamenti, oppure occupate da
militari che hanno creato propri quartier generali. E ancora: disertate dai
figli di quelle famiglie che seguono le indicazioni dei militanti kurdi
contrari all’apprendimento delle materie con l’uso della lingua turca. Alcuni
attuali genitori da piccoli hanno conosciuto la “guerra sporca” degli anni
Novanta, avevano in casa parenti coinvolti
nell’attivismo politico oppure si ritrovarono casualmente nel gorgo di quel
conflitto, e ne rammentano privazioni, umiliazioni, lutti che vorrebbero evitare
ai figli. Ma riscontrano una chiusura ai loro racconti.
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Certi
ragazzi sognano un riscatto soggettivo più che socio-politico, vedono come
l’informazione militante e i social media trattano i combattenti e per
imitazione pensano d’inseguirne la gloria. Insegnanti e genitori della comunità
kurda da una parte ne sono fieri, ma vorrebbero anche un futuro fatto di
normalità, opportunità, lavoro. Quest’ultimo, che nella Turchia rampante
dell’ultimo ventennio ha rappresentato una tendenza diffusa nella nazione, ha
continuato a vedere un sud-est sempre penalizzato. In quelle province la
disoccupazione è sempre rimasta elevata, i giovani devono trasferirsi per
agguantare qualche occupazione stagionale. Esistono anche genitori molto
preoccupati per il domani dei figli; sono risentiti con Erdoğan e il Pkk. Il
primo è un nemico, ma quest’ultimo, a loro parere, inganna i ragazzi con la
lotta armata. Da parte sua il rappresentante dell’Hdp Demirtaș rivela
sconsolato un recente episodio, riscontrato con l’attacco dell’esercito turco a
Silopi: “Dopo un mese d’assedio ben 500
giovani di quel distretto sono saliti in montagna per unirsi ai reparti del
Pkk. Non uno di loro s’è avvicinato al nostro partito, nessun giovane ripone
speranze nel Parlamento”.
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