martedì 24 giugno 2014

Voto afghano, prosegue lo show dell’imbroglio


Lo show delle presidenziali deve proseguire. Perciò l’intoppo dell’intercettazione telefonica (sì, anche lì) per quanto di parte e realizzata dallo staff di Abdullah nei confronti del segretario della Commissione Elettorale Indipendente incastra mister Zia-ul-Haq Amarkhail. All’improvvido funzionario, pizzicato in un confidenziale colloquio con cui tranquillizzava alcuni sostenitori di Ghani su un’operazione non proprio trasparente riguardante un trasporto di urne di schede votate (è in questo modo che possono essere facilmente sostituite), è stato consigliato di farsi da parte. Lui obbedisce, reclamando una candida innocenza. Di fatto il coinvolgimento in operazioni non chiare a favore d’un candidato gettano ombre sul protagonista della vicenda, sulla Commissione tutta e su entrambi i contendenti. Ad aprile era stato Ghani a gridare al raggiro. Ora potrebbe aver fatto di necessità virtù, cercando la via breve per quelle truffe che subodorava ai suoi danni e che avrebbe bypassato cambiando ruolo. Ma in fatto di brogli il confronto fra gli aspiranti alla presidenza appare uno scontro di Titani. Ciascuno è pronto ad accusare manchevolezze, non certo a praticare comportamenti virtuosi; non è un caso che i clan contrapposti abbiano rimorchiato o si siano affratellati con la crema del crimine afghano: Sherzai, Sayyaf, Hekmatyar, Mohaqqeq, Helal, Dostum.

Le elezioni, soprattutto se dipinte come un reale confronto democratico, sono la perfetta maschera dietro la quale nascondere una rioccupazione del potere locale tramite un presidente fantoccio disposto ad accondiscendere i voleri occidentali o di altri padrini. Questi sul versante economico possono essere i cinesi, su quello geostrategico locale pakistani e iraniani. Dietro la recita elettorale sono tuttora in corso accordi che produrranno, chiunque risulterà vincitore, interessi per vari attori internazionali e locali fino ai gruppi minori che praticano i propri affari appoggiandosi ai Signori della guerra. In tal senso c’è da pensare che lo stesso allarme lanciato da Abdullah non sia nient’altro che un riflesso condizionato da comportamenti diffusi e reiterati di cui ogni componente diventa, secondo il caso, usurpatore o vittima. Il bisogno di ristabilire l’equilibrio attraverso l’allontanamento di Amarkhail dal ruolo di supervisore della macchina elettorale assume i contorni del doppismo proprio leggendo le valutazioni d’un organismo delle Nazioni Unite, l’United Nation Asssistence Mission in Afghanistan, che in certi casi lavora con serietà denunciando storture. L’Unama ritiene “la direzione del capo della segreteria elettorale capace e anche più avanzata di quanto previsto”. Eppure il reprobo viene dismesso nella speranza che la farsa sia più credibile.

Abdullah è soddisfatto e afferma che il processo elettorale sta rientrando sui giusti binari, Ghani tace e probabilmente acconsente. Vincerà il migliore. Nell’imbrogliare, s’intende. 

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