Le amministrative che
da domani potranno segnare il volto del primato politico in Turchia (Erdoğan proseguirà spedito il cammino di potere o verrà
indotto dal suo stesso partito a un pensionamento anticipato al di là della
candidatura presidenziale?) hanno visto negli ultimi giorni di campagna
elettorale uno scatenamento mediatico non indifferente. In cima i due maggiori
quotidiani: il laico e kemalista l’Hürriyet Daily News e il para
islamico di sponda e denari gülenisti Todey’s Zaman, ma pure il Milliyet,
il Sabah Yayincilik e altri con scivolate di gossip di stile italiano.
Alcune più piccanti: riguardo a già note videoregistrazioni su intrattenimenti
extraconiugali di avversari politici volutamente inserite sul web dallo staff
del premier. O chiacchiere di bazar: la sua voce in falsetto (troppi comizi
fanno male) mostrata sulle ultime piazze che ne sminuivano l’approccio
carismatico da padre virile della patria. Ogni pretesto è buono per colpirsi
vicendevolmente. Il governo ha risposto con le sue tivù per le rime e
soprattutto ha picchiato duro dopo Twitter
anche su You Tube. A dimostrazione di
come i social network, pur vantaggiosi economicamente per chi ne possiede
copyright e diritti di gestione, rappresentano un veicolo di diffusione di quell’informazione
alternativa, autoprodotta o con poche finanze, che li utilizza per la propria
causa. Fin che può farlo.
Fra le stoccate quella
sulle reali o presunte registrazioni rubate (se davvero le voci provenivano
dallo studio del ministro Davutoğlu i suoi avversari politici
sono piazzati benissimo) o intercettate dai potenti mezzi statunitensi di cui
dispone il movimento Hizmet, sceso apertamente in contrasto politico con Erdoğan, non è dato sapere.
Se riuscirà indagherà la magistratura e lo sta facendo. Con quali ingerenze
della politica è storia di tutte le procure del mondo, come dimostrano panorami
vicini e lontani non solo ad Ankara. Pare che in quell’incontro del ministro
degli esteri turco con il sottosegretario del suo dicastero Feridun
Sinirlioğlu, il capo dell’Intelligence (MİT) Hakan Fidan, il responsabile dello
staff militare generale Yaşar Güler si discutesse di una possibile incursione
in Siria. Probabilmente non solo come risposta all’invasione dello spazio aereo
(e all’abbattimento) del Mig di Damasco avvenuto nella scorsa settimana, ma per
un uso nazionalistico di questo gesto che potesse offrire una chance elettorale
al premier. Questo scoop è stato utilizzato nei comizi del principale
avversario dell’opposizione, il segretario del CHP Kılıçdaroğlu che
accusava Erdoğan di volersi fare strada col sangue dei militari turchi. Il
quadretto, appeso sopra, sotto o di traverso al muro della propaganda elettorale
lascia una scia di strumentalità.
Non che il premier e la casta militare - con cui lui ha un rapporto di
passato odio e attuale amore, non foss’altro perché braccio armato di quella
repressione che sta apprezzando e praticando sempre più - non potrebbero venir
stuzzicati da simili intenti. Ma proprio sulla Siria Erdoğan ha iniziato a commettere
quegli errori in politica estera che, uniti alla più recente crisi interna, dal
2011 a oggi hanno completamente rovesciato la sua popolarità anche internazionale.
L’intervento armato contro Asad, fino a inizio autunno scorso sbandierato dal
grande tutor statunitense, appare derubricato dai programmi Nato, nonostante i drammi
di morte, emergenze sanitarie e alimentari restano tutti, come ci ha narrato
chi è a contatto con quella tragica realtà (cfr. Ayşe Gökkan, il sindaco che contrasta il muro).
Sulla rivelazione del progetto d’intervento “limitato” all’area della tomba di Süleyman Shah (per farci cosa? conquistarla,
liberarla?), sta indagando la
magistratura che ha fermato e interrogato un editorialista della catena
mediatica gülenista perché c’è il sospetto che sulla notizia,
reale o falsa, lavorassero uomini di Fetüllah e Servizi stranieri. L’ha affermato lo stesso presidente Gül che ovviamente mantiene una posizione ufficiale.
Però già si sollevano
dubbi sull’ispirazione di queste mosse giudiziarie che, secondo alcuni settori
della comunicazione (Samanyolu Media
Group), potrebbero proseguire quel clima
censorio mostrato a tuttotondo dal governo, ma diretto verso la scorsa
primavera proprio contro l’ingombrante movimento Hizmet sempre più presente
nella politica nazionale. Rumors dicono che da questa sponda partono
indicazioni per appoggiare col voto il partito repubblicano e, addirittura,
l’oltranzismo del MHP per fra traballare le certezze del sultano. Il tam-tam propagandistico di ogni sponda è in
grande attività in queste ore. E non si placherà neppure dopo lo spoglio
elettorale.
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