sabato 18 gennaio 2014

Kabul, l’occupante assediato nella sua ‘città proibita’


Ventuno persone, tredici stranieri e otto locali, sono le vittime di un assalto avvenuto ieri sera in un ristorante libanese della ‘città proibita’ di Kabul, l’area iper protetta dove sorgono ambasciate e sedi della cooperazione internazionale. Mentre un kamikaze si faceva esplodere sull’uscio, provocando morte e panico, entrava in azione un commando guerrigliero che ha continuato il tiro a bersaglio. L’azione, secondo quanto riferito da alcuni testimoni, è durata una ventina di minuti ed è ascrivibile all’insorgenza talebana che ha voluto vendicare un attacco delle forze Isaf nella provincia di Parwan. Queste, nei giorni scorsi, hanno seminato morte fra i civili compresi sette bambini. Oltre a colpire gli stranieri presenti (fra le vittime occidentali si contano due canadesi, due americani, un britannico, un russo tutti legati all’attività diplomatica) le forze talebane mirano ad alternare il terreno del colloquio e del conflitto nell’anno di transizione in corso. Azioni altamente spettacolari, ricordiamo nell’anno appena concluso quelle attuate nell’area del palazzo presidenziale, all’aeroporto della capitale e presso la Corte Suprema, hanno una funzione propagandistica interna e un monito esterno.

Le forze talebane mirano a influenzare le due le ipotesi che si danno gli occupanti in parziale smobilitazione, posto che le truppe statunitensi resteranno con una quota compresa fra gli 8.000 e 15.000 soldati. La prima è una concentrazione del controllo militar-amministrativo nel luogo nevralgico istituzionale e simbolico che è Kabul, da cui i Taliban sono stati espulsi da tempo. La seconda sarebbe il mantenimento di presidi Nato nelle province dove tuttora sono dislocate le truppe (Herat, Kunduz, Kandahar, Helmand oltre che Kabul). Per quest’ultima ipotesi il ritiro occidentale dovrebbe essere molto più ridotto di quello preventivato, visto le estreme difficoltà di controllo delle province menzionate oltre le mura dei campi base. La prima ipotesi comporta un necessario compromesso con l’insorgenza talebana locale, con quella d’importazione pakistana sostenuta anche dall’Intelligence di Islamabad, e coi Signori della Guerra che s’apprestano a rinnovare la presenza nelle più alte istituzioni afghane, futura carica presidenziale compresa. Inutile sottolineare l’evidente fallimento dell’intera missione Enduring Freedom nella duplice veste militare e politica.

Resta quella diplomatica, vissuta sotto il reale tiro delle armi subìto dal personale di ambasciate e carrozzone cooperativo nella nient’affatto sicura Kabul. Ormai neppure quel quartiere super corazzato, difeso da mura di cemento armato, blindati, cavalli di frisia, costituisce una zona franca per il personale dell’occupazione Nato. Tuto ciò fa crescere lo sgomento anche nella diplomazia Onu, ormai percepita quale nemico da una parte della gente afghana, come ha esternato in un odierno intervento un angosciato segretario generale Ban Ki Moon. 

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