La paura della galera e di
quel che vi accade dentro vince i cittadini d’Egitto, prima e più delle
anto-bomba simboliche o pilotate. Le esplosioni mortali nell’anniversario d’una
Rivoluzione scippata, calpestata, trasformata in regime militar-poliziesco
assegnano al nuovo raìs il primato di presidente in anticipo sull’annuncio
dell’uomo dell’interim Adly Mansour. Questi ieri ha dichiarato ufficialmente
che entro tre mesi il Paese avrà un nuovo Capo di Stato, inutile aggiungere che
si chiamerà Al Sisi, il salvapatria. Le code alle urne saranno una formalità
burocratica dal buon valore mediatico. Se, come nel referendum costituzionale
voterà molto meno della metà degli elettori, poco male: la facciata democratica
sarà salva. Si segue questa via per il popolo, per il suo riscatto, per non
cadere nella mani di islamisti e rivoluzionari. Accanto a chi vi aderisce per
scelta ideale e chi perché segue l’onda degli eventi imposta con la forza
finisce anche una massa - grigia o colorata poco importa - che si autolimita
per il terrore. D’essere accusato di terrorismo o di sostegno anche solo ideale
a esso.
Il terrore d’essere
marginalizzati, non tanto per via dov’è impossibile riunirsi o esporre
manifesti, ma ovunque ci si trovi fosse pure la moschea, il mercato, l’awha. E direttamente
perseguitati, come accade a giornalisti noti o giovani freelance finiti nelle
mani dei mukhabarat. Anche fotografare in strada, non chi combatte a suon di
pietre, diventa quasi impossibile. I testimoni e i potenziali documenti -
filmati, scritti o racchiusi in uno scatto - risultano ingombranti e insopportabili
a chi ripropone una nazione dal pensiero unico e dalle facce pronte solo a
osannare e obbedire. E a chinare la testa. L’esatto punto di partenza di quello
che è stato il vento di Primavera, un passo indietro lungo trentasei mesi tornato
alla notte di piazza Tahrir che fece tremare e disarcionò Mubarak,
l’intoccabile. La sfinge amata dal clan e dai compari di affari e torture, dal
protettore statunitense e dai governanti d’Israele, dalla Lega Araba e dalla
dinastia saudita. Quell’irrefrenabile voglia d’un pezzo d’Egitto di scrollarsi
di dosso l’angoscia e riprendersi dignitosamente la vita pare azzerata.
Prevale la naturale
autodifesa del silenzio che preserva dalla delazione, tornata ampiamente di
moda. Fra quello che realmente accade: cellulari e linee internet sotto
controllo, seppure certe apparenze vengano salvate (la Fratellanza è fuorilegge,
ma il loro sito è tuttora online come alcuni website oppositori), pestaggi in
strada di persone riconosciute o sospettate d’aver partecipato a cortei o
sit-in antimilitari, e l’escalation che qualcuno teme in fatto di sequestri
illegali e conseguenti sparizioni a opera degli apparati di sicurezza corre il
filo sottile che separa il timore dalla paranoia. Nell’uno e nell’altro caso
slegati da contorni plumbei che pure originano comportamenti catacombali e di diffusa
metamorfosi anche fra soggetti non esposti da militanza o ruoli professionali e
sociali. Il tassista, la guida turistica, il mercante di agrumi, il ricercatore
universitario si negano al colloquio sul presente e futuro prossimo. Sperano di
continuare a sopravvivere, se Dio vorrà, senza far trapelare emozioni. A meno
che non siano feloul, la massa egiziana ora in festa che osanna il nuovo
generale e pensa di riabilitare il vecchio raìs, mai morto.
Nessun commento:
Posta un commento