Anche
dal disastro, dai massacri, dalla guerra fra bande cercano di trovare lo
spiraglio d’un futuro politico per il loro popolo in un Kurdistan sovranazionale.
Secondo il sogno di Abdullah Öcalan messo
nero su bianco nell’ormai nota Road Map. Sono i kurdi siriani, o meglio coloro
che seguono le indicazioni del Partito di Unità Democratica (Pyd) vicino al
Congresso Nazionale del Kurdistan (Knk) in contrasto, e conflitto, con altre
componenti: il Partito Democratico Kurdo (Pdk) e il Partito dell’Unione Libertà
(Azadi) che attuano differenti tattiche e nel caos del conflitto si sono
trovati a coadiuvare attacchi in zone controllate dai Comitati di autodifesa
del Pyd. Kurdi contro kurdi.
Guerra confessionale o convivenza
interetnica – Lo afferma un documento
dell’Esecutivo del Knk che ripercorre momenti intensi e cruciali della crisi
siriana, dalle manifestazioni anti regime del marzo 2011, i primi cortei che si
ricollegavano alle Primavere tunisina ed egiziana. Sempre in prima fila fra gli
scontenti d’una protesta vociante, severa, ma non certo armata c’era questa
fazione kurda già attiva e organizzata nel 2003, strutturata pure in Forza di difesa
popolare. Un organismo che nel 2004 non riuscì a evitare gli eccidi di quello
che loro definiscono “il regime Baath”
a Qamişlo, una
delle tante cittadine a ridosso delle centinaia di chilometri su cui corre
l’attuale confine turco. Le frontiere e dal 1923 la ferrovia Berlino-Baghdad
divisero una popolazione che vive tuttora la sua diaspora in varie nazioni. Dai
mesi sempre più tumultuosi della prima protesta, repressa a colpi di mitra da
polizia ed esercito siriani, alla successiva nascita dell’Esercito Siriano
Libero, foraggiato da Turchia e da un Occidente smanioso di colpire Asad. Fino alla
presenza sempre più capillare, e nell’ultimo anno inquietante, della componente
jihadista che raccoglie guerriglieri, armi, fondi da sauditi e altre monarchie
felici di accrescere il fondamentalismo. Un campo che si amplia anche con
liberazioni di prigionieri filo qaedisti definiti dal report del Knk “pericolosi criminali” condannati e
spediti in terra siriana “800 dalle
prigioni irachene di Abu Graib e Taci, 1200 dalla libanese Bingazi Kuveyfite,
250 dalla pachistana Dera Ismail Han” per rinfocolare le speranze del
Fronte Al-Nusra di creare lo Stato Islamico Iraq-Damasco, ben oltre la fascia
territoriale attualmente controllata dai suoi miliziani.
Prove di contropotere - In questi anni il Pyd s’è dedicato alla formazione di
strutture territoriali nelle città di Aleppo, Hessaké e in centri minori
guardando a tutta la fascia denominata Kurdistana Rojava. Una zona ampia e
ambitissima per la presenza di petrolio nel sottosuolo e in alcuni punti, come
nella regione di Cizre, per la fertilità del terreno, ben altra cosa dai
deserti della Siria meridionale. Ricollegandosi a certi mesi di luglio che
hanno segnato la recente storia politica kurda: quello del 1979, quando Öcalan “tracciava
il percorso della rivendicazione identitaria” o quello del 1982 quando
quattro detenuti kurdi nel carcere di Diyarbakır avevano
avviato “la resistenza”, lasciandosi
morire di fame per denunciare torture e pressioni dell’allora Turchia golpista.
Così nel luglio 2012, in piena guerra civile o comunitaria, i kurdi oppositori di
Asad rivendicavano la propria “autonomia
democratica” e l’Alto Consiglio Kurdo creava tre Comitati per: la
diplomazia, i servizi sociali, la difesa. Le “assemblee popolari” in varie
città e le “case del popolo” in ogni distretto (in cui sono presenti anche minoranze
armene, cecene, arabe, caldee) trovano nelle donne un fulcro e una forza
motrice che, partendo dalla specificità della questione femminile, s’allargano
per affrontare temi educativi ed economici. Le accademie e le più semplici
scuole primarie sono strumenti che impartiscono istruzione ai discenti, formano
anche i docenti e saldano le radici etniche e linguistiche kurde. Quest’obiettivo
deve fare i conti con la diversità di programma di altre forze politiche kurde
che, a detta del partito di Unità Democratica, cedono alle lusinghe dell’establishment
di altre nazioni. Proprio il ministro degli esteri turco Davutoğlu ha lavorato su tali divisioni. L’esito è lo
straniamento e la migrazione forzata, ora ingigantita dagli eventi bellici che
conducono decine di migliaia di nuclei familiari e un’infinità di singoli a sfuggire
alla morte rimpolpando la drammatica fiumana dei rifugiati. Le logiche
nazionaliste e claniste sviluppano attacchi a situazione esemplari che attuano
ciò che Öcalan teorizza: una realtà
multietica dove si può vivere in pace. E’ accaduto nel febbraio scorso alla
kurdo-araba-assira Tiltemir. Amata e odiata, secondo i punti di vista.
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