C’è una generazione che ha subìto
più di altre lo straniamento della tecnologia del secolo breve col passaggio
dal “piccolo mondo antico” rurale e dalla città-paese alla caotica frenesia
della metropoli tentacolare. E’ quella nata dopo il buco nero della seconda
guerra mondiale che aveva ridotto l’Europa a un cumulo di macerie.
Lungo la sottile linea che separa
il periodo della povertà dalla diffusione del benessere viaggia il cammino
della memoria di questi racconti d’infanzia e prima adolescenza.
Come nella celebre via Gluck
questi ragazzi hanno visto il cemento soffocare i prati dei loro giochi, i
frigoriferi entrare nelle case, le strade urbane trasformarsi in parcheggi
senza soluzione di continuità, gli utensili di plastica soppiantare
l’alluminio. Il ricordo dell’età dell’innocenza si compenetra e mescola con
quello del mondo in febbrile evoluzione.
Storie ambientate in una
periferia zeppa di baracche, marrane, quartieri dormitorio dove operai,
impiegati e chi arrangia la vita s’incrociavano nei condomini anodini e
interclassisti della civiltà della palazzina.
Un romanzo epistolare condotto
sul filo della memoria che si lega al passato e si svolge al presente. Una
storia dalle identità violate nel labirinto di questioni insolute che tornano a
galla e cozzano con la realtà, proponendo temi veri, cruciali, attuali. E tutto
via web. Roma, Milano, Parigi, Lisbona.
Con frequenza altalenante i
protagonisti si scrivono, si confidano, si rimproverano, tacciono, urlano,
piangono e si compiangono. A ogni invio s’affaccia il passato, migliaia di
parole che si riassumono in una richiesta che cambierà percorsi di vita
spingendoli oltre le coordinate del destino. Fino a quando la verità apparente
si spoglia nuda lasciandoli di fronte a un profondo dilemma al quale ne seguirà
un altro terribile: devastante e meraviglioso allo stesso tempo.
Sia pure a due voci questo
romanzo è un libro corale d’impegno e solidarietà, ricco di pathos e passione
civile che restituisce dignità a una stagione, gli anni Settanta, spesso
trattata con disinvoltura o peggio superficialità. Riassume forse una
discussione mai conclusa e ancora in attesa di nuovi approdi.
Se le vicende che si susseguono
nell’odierno Egitto fossero la trama d’un romanzo trarrebbero energie da
ideali, risvolti drammatici, intrecci e intrighi che sembrano scaturire dalla
mente arguta di un grande narratore. Invece a scrivere questa storia, una
storia vera, a vestire i panni dell’autore del proprio destino è un popolo
antico e fiero che ora lotta per riconquistare libertà e dignità.
Lo sta facendo dal 25 gennaio
2011 sull’onda del risveglio di altre genti nordafricane stanche di subire i
soprusi di moderni tiranni camuffati da
padri della Patria.
Nel popoloso Egitto la protesta, pur martoriata dal sangue della repressione, non si spegne. La popolazione si è
riappropriata del voto, di organismi istituzionali, ma vede tuttora incompiuta
la cosiddetta rivoluzione che una parte del Paese non vuole.
Dato per spacciato da poteri
tuttora fortissimi, dallo strisciante opportunismo politico, da un certo
fatalismo culturale il desiderio di cambiamento continua a risbocciare. Il
tempo fin qui trascorso dice che non sarà facile estirparlo.
L’Afghanistan
di Malalai, Belquis, Maryam, Selay, Farzane, Andeisha, Pari e mille e altre
mille come loro è fatto di ideali, sogni e cose molto concrete. Iniziative che
solo donne coraggiosissime, impegnate al limite del sacrificio possono
perseguire nel paese dei Warlords, delle invasioni e della guerra perpetua.
Queste donne parlano e creano. Organizzano e gestiscono alloggi per orfani,
apparati di sostegno ai familiari delle vittime di interminabili conflitti
civili e internazionali, scuole d’istruzione e di avviamento al lavoro, case
rifugio per sfortunate schiacciate dalla spirale di persecuzione e violenza. Con simili strutture provano a costruire un’altra nazione lontana dalle ingerenze
delle potenze occidentali portatrici di morte; libera dalle angherie e dalla
corruzione dei Signori della guerra; emancipata dall’oscurantismo fondamentalista
e dalla tradizione tribale che soffoca l’esistenza femminile.
E ancora micro
attività d’impresa, ad esempio manifatturiera, che collega conoscenze
artigianali sedimentate in generazioni con orientamenti attuali, e ribadisce
come un pezzo d’emancipazione passa per la capacità e l’indipendenza
economica. Oppure nel diffuso mondo rurale tramite quel patrimonio rappresentato
dalle capre diventate elemento vitale di un consolidato progetto.
Tutto ciò è
il frutto d’un intenso lavoro svolto alla luce del sole o in clandestinità in quelle aree che restano tuttora un terreno minato e impraticabile,
non solo metaforicamente. Gli omicidi, gli attentati, le minacce cui queste
donne sono sottoposte e che tuttora le perseguitano non ne limitano idee e
azione. Loro sono il fiero volto di un altro Afghanistan che resiste e cerca la
vittoria.
Esiste una memoria capace di viaggiare a ritroso nel tempo e un passato che può riemergere percorrendo la via del ricordo. L'una e l'altro possono essere morbidi come seta, se s'adagiano su piacevoli emozioni, ruvidi come lana non cardata quando s'appoggiano a crudeli realtà.
Queste storie sono setose e ispide alla maniera dei protagonisti: bambini ragazzi, uomini, donne che vivevano in condizioni poco agiate nei condomini di certa periferia romana, provenendo spesso da un microcosmo rurale.
E' un frammento di società anni Cinquanta e Sessanta dove si mescolavano sogni e contraddizioni, esistenze segnate dalla creativa vivacità infantile, dalla curiosa sfacciataggine adolescenziale, da una filosofica saggezza adulta e dalla sconvolgente follìa di taluni personaggi lunari.
Gli episodi s'inseguono come le sequenze di una pellicola, srotolata davanti a occhi odierni che osservano, sorridenti e senza nostalgia, cos'eravamo in quella città nella città che era l'antica periferia. Piccola giungla e oasi al tempo stesso, che insegnava allegria e durezza, senza mancare d'umanità.

Due vicende dell’emigrazione meridionale italiana
negli anni Venti. Vengono dallo stesso paese Azario e Cenzo, passano per
Montréal, arrivano a New York. Partono come milioni di emigranti, prima e dopo
di loro, per cercare fortuna in America.
Partono per guadagnare quei dollari
che li potrebbero emancipare dalla grama esistenza bracciantile. Sognano di
diventare contadini, proprietari d’un pezzo di terra loro, con cui sperare di
migliorare il futuro dei propri figli. Non tutto andrà come previsto, almeno non
per tutti. Cenzo e Michele raccoglieranno il gruzzolo che gli consentirà
d’attuare il progetto, ma perderanno il fratello Gaetano, tragicamente morto
sul lavoro, facendo quello che più gli piaceva: muoversi.
Drammatica anche la
fine di Azario, che malato non potrà più continuare la dura fatica edile.
S’isolerà ai margini d’una vita avara di soddisfazioni, dopo liti familiari e
rotture, frutto di mentalità avìte e di rigido orgoglio.
Progenitori di
un’Italia che ha vissuto simili storie che non sono entrate nella Storia per
soggezione, riserbo, timore. Talune rimozioni non aiutano le attuali
generazioni a comprendere il mondo, che continua inesorabilmente a migrare. Ed
è impossibile chiudere le porte e gli occhi.
La Daunia, le tradizioni
in una famiglia numerosa, con una mamma perduta presto e un padre-avvocato
troppo preso dai Tribunali. L’affetto desiderato fa inseguire a Nino amori
precoci, tanti amori da sentirsi spesso invaghito di troppe ragazze. Eppure lui ascolta il
cuore che, dopo un ennesimo innamoramento, lo invita a volare fuor di metafora
fino in Perù. Dove vive la ragazza che l’ha stregato in una breve, ma
intensissima vacanza romana.
La vita del protagonista
di questa storia è semplice, come la sua natura, e avventurosa, come la sua
indole. Nino riabbraccerà Sofia a Lima, non staccandosi più da lei e dal Paese
adottivo.
Emigrante per amore, poi
innamorato d’una terra densa di risorse e misteri. Quelli dei suoi lavori, i
più vari, con la costante della specialità assicurativa che lo condurrà sulle
Ande, dal periodo delle straordinarie creazioni energetiche a quello della
lotta di Sendero Luminoso.
Nascere nella
Roma bombardata dalla guerra non è segno di benessere. Gli ordigni non
colpivano i quartieri ricchi, abitati dai gerarchi fascisti. Cadevano sulle
case di San Lorenzo. Dell’appartamento di via dei Campani e delle sue origini
popolari Claudio Bassi ne ha fatto una risorsa, dettata dalla voglia di
studiare e lavorare per emanciparsi. Così è diventato quel ragazzo dai sali
d’argento, curioso e stimolato da un mestiere che è un’arte: lo stampatore
fotografico.
Ha abbracciato
l’epoca del boom economico nazionale e il periodo dell’ampliamento della
professione, attraverso quotidiani, periodici e set cinematografici. In questo
percorso, che è la storia della sua vita, ha conosciuto e lavorato con la crema
dei fotoreporter di un momento senza pari. E sorridendo prosegue la personale
‘terza fase’ di una stimata carriera, guadagnata col credere nelle sue capacità
di uomo normale dalle grandi passioni, nella buona sorte e negli stupendi
compagni di strada che ne hanno illuminato la camera oscura.

Anche ora che va salendo i gradini più alti degli ‘anta’, non perde il
vizio di sedersi a metà mattino per un pasto frugale che rappresenta un
rito. Celebrato dove capita - in faccia al sole con l’isola all’orizzonte,
sotto una quercia secolare, in casa poggiando gli arnesi sul tavolo di
lavoro oppure da viandante - sempre munito di una triade necessaria.
Un coltello affilato quanto basta e due contenitori di ceramica. La
beatitudine giunge quando la fragranza inebriante del pane appena
sfornato è lì a portata di mano. I ricordi di famiglia ammonivano di
non incidere la pagnotta calda, però se il desiderio era tanto, l’attesa
diventava dolorosa. Eppure talvolta aspettava. Oggi la ragione
prevale, ma è sempre un’impresa tenere a bada ogni frenesia, finanche
quella del gusto. Quindi la decisione: il taglio è geometrico, la crosta
amorosamente baciata dal calore scricchiola, l’impasto compatto
e odoroso è pronto all’unzione. Segue quel gocciolare morbido e
coprente, verdognolo e aurifero, cui si legano con duttile sfregolare
delle dita i granuli cristallini. Il miracolo della semplicità che può
nutrire, e certamente appagare il palato di chi vive nelle terre del Mare
di Mezzo, è compiuto. Mordendo e assaporando a occhi spalancati
e a tratti socchiusi, il beneficio è totale. Il bicchiere che segue e fa
sangue, conclude in bellezza la pausa. Candida o peccaminosa, ma
eternamente umana.
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