Doveva tornare in libertà Alaa Abdel Fattah, l’attivista e scrittore egiziano con nazionalità anche britannica, arrestato il 29 settembre 2019 con l’accusa di diffondere false notizie per mezzo di piattaforme social come Facebook. Ma i familiari - la madre Laila, la sorella Mona - hanno avuto l’amara sorpresa di un’ulteriore dilazione della carcerazione. Addirittura per due anni, visto che il Tribunale del Cairo non vuole includere il biennio di detenzione preventiva come parte della pena scontata. Si prospetta, dunque, uno scivolamento dell’arresto sino al gennaio 2027: due anni e tre mesi in più. Per il quarantaduenne è una beffa insostenibile che s’unisce al danno di veder trascorrere il tempo nelle tetre galere del regime di Al Sisi. Alaa aveva condiviso sul profilo Fb notizie sulle gravi violazioni dei diritti umani da parte del sistema poliziesco ripristinato e ampliato dal generale-golpista sin dall’estate 2013. A poco sono serviti gli inviti dello stesso ministro degli Esteri britannico David Lammy di rivedere la sentenza. Totalmente inascoltata risulta la campagna di sostegno ad Alaa - e a tutti i detenuti egiziani per presunti reati d’opinione che ammontano a decine di migliaia - lanciata da Ong dei diritti umani. La madre, una docente avanti con gli anni, ha promesso l’ennesimo sciopero della fame, ribadendo il sopruso del governo del Cairo e la complice protesta solo formale del governo di Londra che, a suo dire, non tutela un proprio cittadino. Del resto Sisi è da tempo ampiamente sostenuto dalla politica occidentale, che trova nel suo pugno di ferro contro gli oppositori interni (islamici e laici) un fattore di sicurezza come accadeva sotto i regimi di Sadat e Mubarak. In più il militare, che ha ordinato e coperto operazioni di eliminazione e sparizione di "elementi di disturbo" attuate dalla propria Intelligence come nel caso dell’omicidio Regeni, costituisce un pilastro per il riordino d’un Medioriente autoritario. Una regione modellata sull’asse di altri Paesi arabi interessati a simili sviluppi (le petromonarchie del Golfo votate ad affarismo e incremento bellico) e il riassetto coloniale imposto da Israele che sotterra l’irrisolta questione palestinese, assieme alle migliaia di cadaveri accumulati nei mesi di guerra nella Striscia di Gaza e ora in Libano.
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