E’ l’unico chierico del sestetto che fra due settimane corre per la presidenza iraniana. Mostafa Pourmohammadi, sessantaquattro anni, nato e formatosi nella città santa di Qom, frequentando la ‘Haqqani school’ diretta dagli ayatollah più conservatori del Paese, Yazdi e Taghi. E’ inserito nell’Associazione del clero combattente, è un politico navigato, già ministro dell’Interno durante il primo mandato di Ahmadinejad quindi responsabile della Giustizia sotto la presidenza di Rohani. Forma con Saeed Jalili già negoziatore per il nucleare e membro del “Consiglio per il discernimento” e Mohammad Bagher Ghalibaf ex sindaco di Teheran, il trio che può giocarsi il ruolo più importante della Repubblica Islamica dopo l’immarcescibile Guida Suprema Ali Khamenei. L’elezione del 28 giugno deve sanare l’emergenza scaturita dall’inatteso decesso in un incidente aereo del presidente Ebrahim Raisi. La scrematura dei candidati operata, come di prammatica, dal Consiglio dei Guardiani inserisce anche l’attuale sindaco della capitale Alireza Zakani, il capo della Fondazione dei Martiri e dei Veterani Ghazizadeh Hashemi, e il deputato Masoud Pezeshkian, l’unico riformista della compagnìa, un riformista moderato com’è stato Rohani del cui gruppo Pezeshkian faceva parte. Ancora una volta la componente realmente riformatrice non ha figure di riferimento in questa corsa e com’è accaduto a marzo con le parlamentari, si asterrà e boicotterà il voto. Chi si recherà alle urne per convinzione o appartenenza agli orientamenti tradizionalisti espressi dai cinque-sesti dei prescelti all’elezione, punterà sui volti più noti entrambi laici: Jalili e Ghalibaf.
Il cinquantanovenne Jalili è stato un combattente nella guerra contro Saddam, aderiva alle milizie basij che lasciarono sul terreno molte decine di migliaia di morti. Con la menomazione a una gamba porta su di sé la devozione alla nazione e al sistema khomeinista tanto da essersi guadagnato il titolo di “martire vivente”. Nativo di Mashhad ha conseguito il dottorato in Scienze politiche. Vanta un’amplissima esperienza diplomatica iniziata nel 1989 e proseguita, a vario titolo, con diversi presidenti. Nel 2001 ha ricevuto l’investitura di direttore della pianificazione politica della Guida Suprema, un elemento non secondario nel personale curriculum che lo pone vicino alla famiglia Khamenei. Lo stesso Mojtaba, figlio dell’ayatollah, è un suo estimatore politico. La componente ‘neo-principalista’ lo individua come importante figura di riferimento. Si è affacciato in altre due occasioni alle presidenziali: nel 2013 si classificò terzo con oltre quattro milioni di preferenze. Nel 2021 ritirò la candidatura a favore di Raisi poi vincitore. Altrettanto noto, ma controverso è il personaggio Ghalibaf. Sessantatré anni e anch’egli reduce, ma senza ferite, della guerra Iran-Iraq. E’ stato a capo delle truppe dell’Imam Reza, a conflitto concluso divenne direttore di un’azienda d’ingegneria controllata dai Pasdaran, un’appartenenza che ha il proprio peso. Nel 2000, in pieno sviluppo di carriera, divenne responsabile delle Forze di polizia, fino a subentrare ad Ahmadinejad, eletto presidente, alla guida della metropoli di Teheran. Si è più volte parlato di lui come possibile Capo di Stato, nella tornata del 2013 raccolse oltre sei milioni di voti, ma non potè nulla contro Rohani capace di fare il pieno di consensi anche dei giovani riformisti, fiduciosi in aperture interne che non ci furono. Un’ombra ha sempre inseguito Ghalibaf. Una vicenda del 2002 riguardante la moglie Zahara Moshiri e alcuni familiari che riportavano da viaggi all’estero copiosi bagagli con prodotti di lusso. L’accusa, smentita dall’interessato e dagli apparati statali, contrastava con gli inviti del sindaco ai concittadini di acquistare solo merce nazionale. Successivamente l’addebito è stato rafforzato dall’annuncio divulgato da un giornalista iraniano in Turchia dell’acquisto di appartamenti a Istanbul da parte di moglie, figlia e genero di Ghalibaf. Spesa finale 1,6 milioni di dollari.
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