Vale dodici seggi l’appoggio al terzo governo consecutivo
di Narendra Modi da parte di Janata Dal
(United), gruppo locale con una presenza radicata nell’India orientale e
nel poverissimo Bihar. Con poco più di venticinque anni di vita JD rappresenta una delle formazioni più
recenti della storia politica del Paese, frutto di scissioni e avvicinamenti
fra chi vuole distinguersi dai partiti storici. L’alleanza col Bharatiya Janata Party non è una novità,
i due schieramenti s’erano cercati e reciprocamente appoggiati una quindicina
di anni fa, durante la salita di Modi ai vertici del partito induista e prima
che diventasse Primo Ministro. Seguì un allontanamento proprio nel Bihar e di
conseguenza sulla scena nazionale. In quella fase Janata Dal ha oscillato verso componenti socialisteggianti e
addirittura, per un breve periodo, ha stabilito un connubio col Partito
Comunista dell’India. L’elettorato non gradì e le elezioni fruttarono solo due
seggi. Marcia indietro nel 2015 con tentativi di alleanza aperte ma infruttuose
e l’avvio d’un percorso solitario. Nel 2022 il gruppo seguiva l’ipotesi del
cartello elettorale contro il premier proposto da Rahul Gandhi, quindi ancora un
ripensamento. Lo stesso ultimo riavvicinamento al Bjp, tanto da diventare un puntello del terzo governo Modi, è
scaturito a pochi mesi dalla scadenza dell’urna. Insomma il partito non brilla
per chiarezza d’intenti e di programma. E l’elettorato si trova davanti
all’ennesimo caso di partito personalizzato. L’attuale leader Nitish Kumar,
classe 1951, è un ingegnere elettronico, il suo ingresso in politica fu quasi
fortuito poi ci prese gusto conquistando il ruolo guida nella regione dov’è
nato. Una sua grande sfida si è rivolta all’ordine pubblico. Nemici le bande
criminali che praticavano sequestri e le lotte sociali guidate da gruppi
maoisti. Per tamponarle Kumar fece istituire tribunali speciali e la polizia
ottenne facilità di arresti. In più il premier locale creò reparti speciali formati
da poliziotti in quiescenza.
All’apparenza l’uomo sembra mite e schivo, non solo ora che è invecchiato. In realtà è funzionale
a ben precisi scopi, adesso riassunti nell’appoggio incondizionato a Modi. "Resteremo con voi (il Bjp, ndr) per qualsiasi cosa abbiate bisogno" aveva detto in apertura
della campagna elettorale. Di recente il suo “baciamano” al premier nella
riunione della National Democratic
Alliance è stato mostrato da più d’un servizio televisivo. Dalla disponibilità al palesato
servilismo il passo risulta breve. Ma chi conosce Kumar sostiene che i suoi calcoli
li ha sempre fatti e assieme all’altro
alleato momentaneo, l’ambizioso Chandrababu Naidu, presenteranno al capo la
lista della spesa: un ministero per ognuno dei quattro parlamentari che votano
il governo di Delhi. Che significa tre dicasteri a Kumar e quattro a Naidu. Lo
staff di Modi ha messo le mani avanti e blindato alcuni posti chiave: Difesa,
Esteri, Interni, Finanza non sono rivendicabili dagli alleati. Infatti se Modi
non riuscirà a modificare la Costituzione intende lanciare coi ministri del
proprio partito riforme in alcuni settori-chiave e mantenere il controllo assoluto
in politica estera e nazionale. Da padrone di casa vorrà conservare anche i dicasteri
dello Sviluppo delle infrastrutture, Welfare, Affari giovanili e Agricoltura. Ridimensiona
le pretese esterne: al tecnologico Naidu concede l’investitura nel ministero
dell’Elettronica e dell’Informazione, l’Aviazione civile e la produzione
dell’Acciaio. A Kumar affida i ministeri del Panchayati Raj (l’autogoverno locale dei villaggi rurali) e lo Sviluppo
rurale. Destina il dicastero delle Industrie Pesanti a Shiv Sena, alleato piccino da sette seggi però ideologicamente
suprematista e dunque ben visto dagli arancioni. Altri piatti per la fame di
posti dei compari di governo i ministeri del Turismo, Sviluppo delle
competenze, Scienza e Tecnologia, Scienze della terra, Giustizia sociale e
Crescita. La lotteria delle assegnazioni è partita, ma le carte continua a
darle il premier, solo parzialmente dimezzato.
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