Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, lo sceicco qatariota spesso vestito all’occidentale, è assieme al potente monarca Tamin bin Hamad al Thani, coetaneo e parente, l’artefice delle trattative per lo scambio fra ostaggi israeliani in mano a Hamas e alla Jihad islamica e prigionieri palestinesi nelle carceri di Tel Aviv. Già ministro degli Esteri, è dallo scorso marzo primo ministro della piccola e ricchissima monarchia del Golfo. Nome e casato lo collocano nella famosa “Home of Thani”, la casta con cui la famiglia divide e condivide il potere nazionale e accresce la propria centralità geopolitica mondiale. Diversamente formati - il sovrano nella contea britannica del Dorset, direttamente a Doha il premier - i due hanno nel comune denominatore di servire gli interessi dell’Emirato l’elemento che almeno finora li unisce, visto che le petromonarchie non sono esenti da congiure e abiure dentro e fuori i Palazzi. Famoso il repulisti avvenuto in casa Saud, che ha spianato la strada a bin Salman a danno d’un cugino cui toccava la successione al trono. Quindi l’ostracismo patito proprio dal Qatar, dal 2017 per circa un quinquennio isolato dalle monarchie sorelle di Arabia Saudita, Yemen, Bahrein, cui furono solidali Egitto, Giordania e Mauritania, con parziali conseguenze relazionali, affaristiche, geopolitiche sino al disgelo del 2022.
Alla testa dell’attacco ai qatarioti c’era appunto Mbs, il più rampante, vanitoso, furbissimo, cinico dei rampolli dell’Islam multiforme delle petromonarchie trasformatesi nelle teste di ponte del capitalismo transnazionale, intercontinentale, iperaffaristico e modernista tanto da organizzare a ritmo serrato campagne finanziarie, mercantili, scientifiche, culturali, mondane. Quindi eventi fieristici e sportivi secondo il modello che fa del denaro la leva per fantasmagorici moti d’impresa, così da diventare sede e riferimento d’ogni forma del cosiddetto soft power, il potere che convince. E poi conviene un po’ a tutti, compresi i contendenti. In fatto di trattative geopolitiche i potenti di Doha s’erano fatti le ossa con la delegazione talebana di cui sono stati mediatori nell’accordo per l’uscita statunitense dall’Afghanistan, dopo le reiterate ‘missioni di pace’ di Us Army e Nato. Rapporti e vicinanze possono anche invertirsi: gli al Thani hanno mediato per conto americano un patto perché quest’ultimi uscissero dal pantano, passando il testimone a un nuovo governo, guidato dai ventennali nemici. Simili operazioni - più o meno losche, più o meno imbarazzanti - necessitano oltreché di fredda indifferenza anche di tatto e abilità diplomatiche, di cui i due emiri sono ben dotati, sebbene è noto come la loro carta più convincente non è quella inseguita dai Paesi che reclamano i diritti, bensì le più banali carte di credito, anzi direttamente le filiali bancarie con cui distribuiscono copiosi finanziamenti a parecchi interlocutori.
Talvolta si tratta di mazzette (al Marocco in occasione dei Mondiali di calcio ospitati non a caso nella penisola sul Mar Arabico); in genere si tratta di finanziamenti, fiumi di denaro che sorreggono cause politiche (quella di Hamas a Gaza e di gruppi islamisti combattenti in alcuni angoli del mondo) e un gran numero di affari con amici o presunti nemici, ad esempio lo stesso Stato d’Israele. Per la crisi di Gaza e la scottante trattativa su: scambio di prigionieri, cessate il fuoco definitivo, restringimento dello spazio geografico per i gazesi e possibile evacuazione di centinaia di migliaia di abitanti in altri luoghi, Washington consigliere e protettore di Israele ha scelto i fidati al Thani, accompagnati dall’egiziano al Sisi. Si tratta alleati della Casa Bianca che le consentono di stare accanto al riottoso Netanyahu permettendogli le spietate ritorsioni su civili della Striscia, evitando di offrire spazio diplomatico a ‘elementi ideologici’ come Erdoğan. Il presidente turco, propostosi nei primi giorni dei bombardamenti sui civili, come mediatore è stato snobbato e aggirato. Né americani, né israeliani lo vogliono fra i piedi conoscendone capacità e doti speculative. Anche i vertici di Hamas hanno tenuto le distanze, preferendogli islamisti solventi come gli emiri, poiché quel che seguirà a uccisioni e distruzioni saranno ricollocazioni e ricostruzioni. Le casse di Doha, e magari di Washington, promettono assai più di quelle in rosso di Ankara. In questa fase l’ombra turca non s’allunga sul Mediterraneo orientale.
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