L’ultima strage pakistana a Peshawar, lunedì sera in una moschea dov’erano riuniti per la preghiera almeno 300 poliziotti, può rientrare fra le più sanguinose dell’ultimo decennio. Finora si contano cento bare, ma altri fra i 159 feriti, alcuni in condizioni gravissime, potranno aggiungersi al macabro conteggio. L’attentato è mirato - chi l’ha compiuto voleva eliminare i servitori armati dello Stato - echeggia in maniera meno crudele non meno sanguinosa, l’attacco alla Scuola pubblica militare compiuto nel 2014 sempre a Peshawar. Lì a cadere furono 132 giovani in età scolare che avevano la colpa d’essere figli di uomini in divisa. Le vittime complessive furono 145. Nel rivendicarla i Tehreek-e Taliban (TTP), ricordavano che, nella primavera precedente, gli stessi militari non si erano posti scrupoli nell’assassinare civili e bambini durante l’operazione denominata “colpo acuto e tagliente” (Zarb-e Azb) nel Waziristan settentrionale. L’obiettivo erano i gruppi islamisti dei TTP, Lashkar-e-Jhangvi, Movimento Islamico del Turkestan orientale, Rete di Haqqani. Si contarono tremilacinquecento vittime, un buon numero erano abitanti di villaggi accusati di dare sostegno logistico ai miliziani, a fine missione quasi un milione di persone furono allontanate con la forza dalla provincia. L’attentato di ieri ha distrutto una moschea, l’intento principale era uccidere chi era lì riunito. Uno scopo diverso da un altro agguato esplosivo che nel marzo 2022 aveva insanguinato un’altra moschea presso il Qissa Khwani Bazaar, sempre di Peshwar. I 63 martiri di quelle raffiche di mitra e della successiva esplosione suicida erano sciiti, a reclamarla fu l’Isis-Khorasan, con intenti certamente destabilizzanti interni al proprio fanatismo religioso. Sull’allarme terrorismo hanno puntato il dito il premier e il ministro degli Interni di Islamabad recatisi sul luogo dell’ennesimo strazio.
Shehbaz Sharif ha dichiarato: "Con le loro spregevoli azioni i terroristi vogliono diffondere paura e paranoia tra la gente. Il mio messaggio a tutte le forze politiche è di unità contro gli elementi anti-Pakistan. Possiamo combattere le nostre lotte politiche più tardi". In realtà le due ultime annate politiche hanno visto i partiti che hanno espresso i due governi, la Lega Musulmana-N per l’attuale e Pakistan Tehreek-e Insaf per il precedente, compresi gli alleati, accusarsi e contrastarsi attorno al tema della sicurezza interna. Che ovviamente s’aggiungeva a cogenti e cocenti questioni economiche e sociali, ma che aveva visto aprire un dialogo da parte del primo ministro, poi sfiduciato, Imran Khan, con due componenti fondamentaliste islamiche. Quella del partito del boom elettorale nelle elezioni del 2018, Tehreek-e Labbaik Pakistan, che dal nulla era diventato la quinta formazione del Paese, sospinta dal focoso leader Rizvi sostenitore dell’applicazione della Shari’a su tutto il territorio nazionale. E con gli stessi vertici bombaroli del TTP. Costoro in cambio d’un cospicuo rilascio di prigionieri (5.000) e la conservazione dell’autonomia delle Aree Tribali, che tutti i gruppi presenti in Parlamento vogliono azzerare, avevano proclamato il cessate il fuoco. Nel mirino, accanto agli attentati stragisti, c’erano ufficiali e soldati dell’esercito. Nei mesi delle trattative gli agguati si sono fermati. Oltre confine i talebani afghani sono entrati a Kabul proclamando l’Emirato, che ha portato in quel territorio miliziani Tehreek sodali del clan Haqqani, insomma la situazione era in divenire. Anche dopo il disarcionamento del fautore dei colloqui Khan, il tavolo coi temibili TTP non s’era chiuso. Vi sedevano emissari dell’attuale governo fino al blocco autunnale d’ogni trattativa che decretava la fine del cessate il fuoco degli islamisti armati. Il rinnovo delle cariche nelle Forze Armate con la scelta di due uomini ‘duri e puri’ (i generali Munir e Mirza) non ha favorito un diverso epilogo. Da quel momento i taliban pakistani hanno nuovamente dichiarato guerra allo Stato. E il terrore è tornato.
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