Cammina, ma non corre il megaprogetto con cui da anni Sisi abbaglia
i suoi sostenitori, ormai prevalentemente militari e famigli, nemmeno più
coloro che mangiano, sarebbe meglio dire
mangiavano, grazie alla filiera economica gestita dalle Forze Armate, messa in
difficoltà dalle sue spese pazze. La New Cairo, capitale galattica nel deserto,
è un’idrovora che prosciuga fondi, forse serviranno più dei 60 miliardi di
dollari previsti per la creazione. Il tempo va e diversi lavori strutturali
restano arretrati, comprese le autostrade a otto corsie, neanche si trattasse d’una
New Los Angeles. Gli amici americani, con più d’un presidente, si sono tenuti
alla larga dalle smargiassate del presidente-golpista. Magari lo lusingano,
perché da un decennio è funzionale alla restaurazione del grande Paese arabo,
rimesso in riga dai furori di Tahrir. Però, nessun finanziamento diretto ai
sogni faraonici del generale viene da Washington. Altri aiuti sì, con gli
onnipresenti armamenti e tre tranche elargite dal Fondo Monetario Internazionale
per un totale di 20 miliardi di dollari, oggettivamente scialati per servizi
che non servono alla popolazione, ammassata nelle periferie delle megalopoli di
cui Cairo è la quintessenza. Alla storiella che la nuova Cairo, smaltirà caos e
sovrappopolazione della vecchia capitale, intesa non solo come el-Khalili o
Muqattam, ma la stessa area di Heliopolis e i suburbi di Giza e Nasr, non crede
nessuno. “Città d’élite, per affaristi e
ricconi” commentano gli edili che ci lavorano, sottopagati, da ditte
saudite e pure cinesi.
Intanto i cairoti che restano, e resteranno al Cairo, hanno conosciuto l’aumento del prezzo del pane,
non solo per la speculazione delle multinazionali dei cereali, bensì per la
cancellazione governativa del sostegno sociale a quello e ad altri generi alimentari
di prima necessità. Di fatto la coperta finanziaria è corta, ma continua a
essere tirata sulla località del sud-est, per drogare un sogno che materializza
i 1.293 piedi dell’Iconic Tower,
l’edificio più elevato d’Africa, circondato da tranvie e viali
verdeggianti in uno spazio di decine di chilometri quadrati. Tutto ciò nonostante
il Nilo scarseggi d’acqua, tutto ciò per far lievitare il debito nazionale e quadruplicarlo. Già
la precedente mega opera presentata come “rinascita del Paese” - il raddoppio
del Canale di Suez - non ha prodotto i guadagni preventivati: sono entrati 6.3
miliardi di dollari rispetto ai 13 miliardi attesi. Un flop che sancisce le
inadeguatezze manageriali dello staff voluto da Sisi. Ma l’egiziano medio può
solo bofonchiare, sottovoce, prestando attenzione a non farsi sentire dai mukhabarat, facilmente identificabili, e
dalla più infida giungla di spioni di strada pronti a vendere pure amici e
parenti per denaro o favori. La cittadinanza non si ribella, non può farlo,
rischia galera e persecuzioni ad libitum. Subisce. Sebbene nell’ultima campagna
elettorale Sisi promettesse milioni di posti di lavoro che sarebbero scaturiti proprio
dal progetto New Cairo, nessuno s’aspetta più nulla. Lui stesso, che con
ritocchi normativi s’è garantito un potere fino al 2030 anche prolungabile, non
ha bisogno di esaltare il suo regno con una propaganda ammaliatrice: ordina e riscuote
obbedienza. E’ l’ossequio del terrore.
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