lunedì 3 ottobre 2022

L’Iran in movimento e l’Iran bloccato

 

Un amaro incidente che gli ha spezzato il cuore, così la Guida Suprema ha definito la morte di Mahsa Amini.  Mentre le proteste infiammano da due settimane l’Iran, Ali Kamenei torna in pubblico pimpante, passando in rassegna reparti di polizia schierati in Accademia. Si celebrano le promozioni dei cadetti, tutti in alta uniforme e sorrisi, nulla  a che vedere con la furia dei colleghi che inseguono i manifestanti, sparando. Le vittime accertate - dopo la chiusura di quasi tutti i social (fino a ieri i video dei rivoltosi trovavano ancora diffusione su Telegram pur se cercano altri canali d’uscita) - s’attestano a 130, compreso qualche pasdaran. Aumentano sensibilmente fermi e arresti che hanno superato la quota di duemila. “Il dovere delle nostre forze di sicurezza è assicurare la salvezza della nazione. Chi attacca la polizia lascia i cittadini senza difese contro teppisti, ladri, estortori” ha aggiunto l’ayatollah supremo. Alla dichiarazione segue la più pesante idea della sobillazione esterna (Stati Uniti, Israele). Così l’arresto d’un manipolo di stranieri, colti nelle vie delle proteste, diventa un perfetto alibi per questa tesi. Svelata anche una notizia che circolava da giorni: la presenza d’un cittadino italiano in quel gruppo. Si tratta di una trentenne romana, figlia d’un commerciante che ha confermato il fermo dopo aver ricevuto una telefonata della giovane dal luogo di reclusione. Il genitore la racconta come appassionata di viaggi e video da postare sui social. E’ finita in un posto e in una fase roventi con le sue gambe, perché dal Pakistan è sbarcata a Teheran a fine settembre per festeggiare il compleanno e avrebbe commentato sempre sui social le rivolte in atto, probabilmente non rendendosi conto dei rischi incombenti. Della vicenda se ne sta occupando la Farnesina. Le dichiarazioni ufficiali non riescono a spiegare la crescente adesione alle proteste che hanno assunto un effetto domino. Sono gruppi relativamente contenuti cui s’aggiunge gente per via, usano la tattica dei flash mob. Si sviluppano a macchia di leopardo, specie sulle trafficatissime arterie delle città, dove il transito viene bloccato creando ingorghi e impedendo i movimenti dei reparti anti sommossa. Non quelli degli zelanti centauri in nero (probabilmente poliziotti o paramilitari) che giungono in gruppo, isolano un dimostrante, malmenandolo o neutralizzandolo con lo storditore elettrico, come mostra uno dei video che rimbalzano all'esterno a testimonianza di queste convulse giornate.

 

Tuttora la contestazione è tendenzialmente pacifica, sebbene diverse auto date alle fiamme, non sempre dai dimostranti ma dai lacrimogeni polizieschi, abbiano rappresentato un livello di scontro più elevato. Chi non va per il sottile sono i repressori: le immagini di agenti che sparano ad altezza d’uomo sono state mostrate in più occasioni e, nonostante la censura, dagli ospedali trapelano notizie di feriti e morti per colpi d’arma da fuoco. La continuazione delle agitazioni inasprisce il circuito ribellione-coercizione. Dai gesti simbolo di chiome o ciocche tagliate, dai bei capelli al vento di ragazze che danzano in strada, ai ‘sacrileghi’ falò di hijab, ai gruppi di studenti che picchiano con sbarre, rispondendo alle manganellate che li rincorrono sia di uomini in divisa, sia di civili, in genere basij e guardiani della Rivoluzione difensori dell’Iran della conservazione. La Storia può ripetersi, ma anche no. Così alla recente notizia della protesta che entra nell’università e assieme a essa entra la scia di basij picchiatori, vengono in mente scene simili: quelle del 1999 e poi del 2003, tutte vissute nella fase del più democratico chierico diventato presidente: Mohammad Khatami. Quando i maggiori riformatori che lo seguivano: intellettuali, clero riformista, tante donne inventavano le ‘notti senza notte’, movide motorizzate gettate in faccia ai soprusi della Gasht-e Ershad e contro gli ayatollah più tradizionalisti. E ancora: scontri negli atenei e scontri di strada con arresti (nel 2003 oltre 4000) e accuse di spontaneismo rivolte ai ‘senza organizzazione’ da Tahkim-e Vahdat, la storica struttura studentesca, nata con la Rivoluzione del 1979, eppure lanciata contro le teste oscure del regime. Anche allora ballavano accuse di sobillazione statunitense - refrain vecchissimo ma non privo di sospetti - che mescola desideri neonati con losche manovre sempre pensate alla Casa Bianca. Se l’aria, quella buona e quella stantìa, che aleggiano sui cieli iraniani sono differenti dal vento già conosciuto, si vedrà. Certo, le generazioni mutano, i tempi corrono velocissimi. I ventenni attuali in terra persiana sono diversi pure dai loro coetanei dell’Onda verde, tredici anni si sentono. Solo il mondo degli ayatollah appare immobile, un Raisi d’oggigiorno sembra incarnare le visioni più retrograde del clero sciita, come fosse un redivivo Mesbah-Yazdi. Per non parlare del presunto delfino Mojtaba, che Khamenei vorrebbe al suo posto post-mortem. Un Paese in movimento e un Paese bloccato, due sistemi che rifiutano di capirsi.

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