venerdì 6 maggio 2022

India, la raffineria del petrolio sanzionato


La linea dell’embargo a gas e petrolio russi decisa dal Parlamento di Bruxelles, su ‘suggerimento’ della Casa Bianca, è diventato il mantra politico-mediatico delle ultime settimane. Però le notizie che provengono da altri angoli del mondo rivelano trasferimenti di prodotti petroliferi non rispondenti a premesse e decisioni. Il caso dell’India è emblematico. Il colosso asiatico si è ampiamente smarcato dai solleciti provenienti da Washington, non solo in occasione delle assemblee delle Nazioni Unite del 2 e 24 marzo scorsi, astenendosi dalla condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, ha proseguito una politica di equidistanza fra le potenze  mondiali dettata da opportunità e interessi. Senza scomodare settant’anni e oltre di storia recente, che hanno tenuto vicine Russia e India dall’epoca dell’indipendenza di quest’ultima dal giogo coloniale britannico, la nazione indiana tuttora in crescita, non può permettersi il lusso di rinunciare a riserve energetiche a prezzi ribassati. Un maggiore accostamento a Mosca il governo Modi l’aveva mostrato nell’ultimo biennio, quando le contrapposizioni con la Cina nella freddissima area di confine del Ladakh s’erano scaldate al punto di provocare risse all’arma bianca fra reparti di frontiera in cui non erano mancate le vittime, peraltro quasi tutte indiane. Pur attento agli equilibri geopolitici l’esecutivo del Bjp, il partito hindu, ha vissuto l’affanno della crisi economica conseguenza della pandemia, del crescente tasso di disoccupazione, delle pesanti proteste contadine, e dallo scorso autunno la volontà di rilancio del Pil fa i conti con una frenetica ricerca di approvvigionamenti energetici per le proprie industrie. Pur rifornendosi dalle petromonarchie, il rapporto con Mosca diventa indispensabile. Se prima del conflitto (dicembre 2021) l’India acquisiva 300.000 barili al giorno di greggio, a marzo 2022 gli acquisti sono più che raddoppiati (700.000 barili), in barba a qualsiasi embargo. Le recenti elezioni interne in alcuni importanti Stati della Federazione, l'Uttar Pradesh su tutti, favorevoli al partito di maggioranza consolidavano l’idea di surclassare le indicazioni dell’amministrazione Biden. Del resto gli out-out per le sanzioni sugli idrocarburi di Mosca prospettano ampi svantaggi per Delhi, visto che ora il greggio russo può essere comperato sul mercato mondiale a un costo competitivo. Dice il ministro delle Finanze indiano Sitharaman: “Se il petrolio è disponibile a prezzi addirittura scontati (anche 30 dollari in meno al barile, attualmente prezzato 105 dollari, ndr) perché non comperarlo?” Nessuno in patria gli dà torto.


Dopo l’ennesimo boicottaggio lanciato dall’Unione Europea il mercato internazionale dell’oro nero si affolla di nuovi acquirenti, specie asiatici.  L’India è in prima fila e non vuol lasciare campo libero alla concorrenza cinese. E, a dimostrazione che la globalizzazione confligge con la politica delle guerre e degli embarghi perché i mercati prevalgono su tutto, diventa di pubblico dominio la notizia che cospicue quantità di greggio russo acquistate dall’India, raffinate dalle mega aziende locali Reliance o Nayara,  raggiungono l’Europa. In che modo? Semplicissimo: come prodotti raffinati - diesel e simili - che il mercato indiano esporta ai clienti occidentali. Dunque chi pratica l’embargo delle riserve energetiche di Putin ne diventa indirettamente  acquirente. Il governo Modi segue la sua strada, ha trovato nei prezzi ribassati del greggio e nelle entrate delle esportazioni della sua raffinazione un sostegno finanziario che, finora, gli ha permesso di non aumentare il prezzo degli idrocarburi ai suoi cittadini, un welfare tutt’altro che trascurabile. D’altra parte nei rapporti geopolitici a est la Casa Bianca non forza la mano come fa con gli alleati occidentali. Il colosso indiano, restìo a seguire le volontà americane, viene tenuto buono perché può servire in funzione anticinese. Per altro anche le relazioni diplomatiche indiane con gli Stati Uniti tengono alta la barra contro l’espansionismo economico delle cento ‘vie della seta’ in Oriente.  Il rapporto mercantile sviluppatosi nei mesi più difficili della pandemia di Covid ha visto i ministeri del Commercio indiano e russo trovare vantaggi dall’esportazione di derrate alimentari e medicinali in cambio di petrolio. Ultimamente i due Paesi trattano anche carbone, quello russo verso l’India. Sebbene quest’ultima non sia affatto carente, la sua produzione interna è pari a 777 milioni di tonnellate annue e in quello in corso è previsto un aumento per altre 100 milioni di tonnellate. Le proiezioni per il biennio 2023-24 mirano a superare addirittura la soglia del miliardo di tonnellate annue. Affinché gli altiforni della siderurgia brucino a pieno ritmo, alla faccia di qualsivoglia contenimento dell’inquinamento atmosferico causato dai combustibili più pericolosi. 

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