lunedì 9 maggio 2022

Bharatiya Janata Party, la strategia del caos


Nelle elezioni concluse un mese fa in cinque Stati indiani, il premier Narendra Modi e Amit Shah, ministro dell’Interno e della Cooperazione, alla testa del Bharatiya Janata Party, hanno mostrato tutto il loro livore verso la componente musulmana infiammando i comizi coi princìpi più razzisti dell’hindutva (la dottrina del fondamentalismo hindu). I loro proclami aggressivi servono a offrire protezione ideologica, e spesso anche legale, ai picchiatori e provocatori delle squadracce di vari gruppi (Bajrang dal, Sri Ram Sene) che attaccano gli islamici, distruggendone abitazioni e rivendite. In tal modo l’azione violenta diventa tutt’uno con le teorie politiche rivolte a milioni di famiglie hindu che per proprio conto non usano violenza, però indirettamente aderiscono a una radicalizzazione di mentalità e comportamenti. Esasperare il comunalismo, creando contrapposizioni confessionali è diventato l’elemento costante del partito di maggioranza che con questa modalità cementa l’aggregazione. In tanti casi le celebrazioni hindu, momenti gioiosi da festeggiare, diventano occasioni di contrapposizione e attacco ad altre comunità religiose. Il mese scorso, l’ultima ricorrenza di Ram Mavami, il compleanno del dio Rama, ha prodotto nel Gujarat processioni terminate con la vandalizzazione della moschea Gebanshah Takiya. Distrutti anche numerosi dargah (mausolei islamici), case private e rivendite di cittadini musulmani. Devastanti scene simili si sono verificate a Jahangirpuri, l’area a nord-est di Delhi. Testimoni, sfuggiti alla furia hindu, hanno raccontato alla stampa d’opposizione che la polizia lasciava fare e accompagnava i picchiatori che hanno fatto un morto e parecchi feriti. |


A chi voleva denunciare l’accaduto è stato consigliato di lasciar perdere: la polizia in certi casi rovescia i ruoli e accusa le vittime di provocazione. Taluni esponenti dell’hindutva, hanno dichiarato che “la folla si è ribellata a coloro che deridevano il dio Ram”. Un copione già visto in tante occasioni. C’è chi come il premier rieletto proprio ai primi di aprile nell’Uttar Pradesh, Yogi Aditynath, il monaco fondamentalista in predicato a rimpiazzare Modi al vertice del Bharatiya Janata Party e della nazione, ha lanciato accuse alla “plebaglia rissosa” che infanga il suo disegno di “legge e ordine”. E’ uno specchietto per le allodole. Gli squadristi arancioni che innescano gli scontri, non finiscono mai puniti, fra l’altro portano disordini negli Stati dove la stessa opposizione al Bjp è forte. Così i leader del partito hindu possono ribadire alla gente d’essere l’unica garanzia d’una vita tranquilla davanti al rischio del caos. Un bersaglio di tale strategia è Ashok Gehlot, premier del Rajasthan, il grande Stato nord-occidentale confinante col Pakistan. Le risse innescate in quel territorio dai seguaci dell’hindutva hanno prodotto una campagna del Bjp contro di lui, capo locale del Partito del Congresso, accusandolo di non saper gestire l’ordine pubblico e di non garantire la sicurezza. Una ripetizione di quanto dal 2013 il partito di Modi ha fatto nel popolosissimo Uttar Pradesh, lanciando la presa del potere nazionale che tuttora detiene. L’erosione, tramite la guerriglia strisciante, d’una normale quotidianità ha avuto uno stop solo nei primi mesi della pandemia, nella primavera-estate 2020. Già dopo lo sbandamento sociale, conseguenza delle chiusure e della crescita della disoccupazione, la strategìa del caos è tornata a insidiare i luoghi non governati dagli arancioni. 

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