mercoledì 8 settembre 2021

Emirato afghano, atto secondo

Infine eccolo il Gotha talebano, messo nero su bianco. Frutto di mediazioni, tante, e di aggiustamenti per tutti, a tal punto che gli opposti possono egualmente sentirsi vincitori. La sorpresa è nella figura del primo Ministro Mohammad Hasan, un turbante venuto dal primo Emirato nel quale ricopriva l’incarico degli Esteri. Chi l’ha voluto? Probabilmente il garante supremo, il chierico Akhundzada, che ha dovuto cedere a pressioni interne della Shura maggioritaria e ai ‘consigli’ pakistani materializzatisi con la presenza costante, nei giorni di composizione della squadra di governo, del capo dell’Inter-Services Intelligence, Faiz Hameed. Da quest’ultimo dev’essere anche giunto il suggerimento dell’investitura del focoso Serajuddin Haqqani al dicastero dell’Interno, quello che presiede polizia e sicurezza. Anche se attualmente in terra afghana mancano entrambe. In tal modo il cosiddetto moderato Baradar, che ha condotto la defatigante trattativa di Doha e doveva guidare l’attuale transizione, dovrà accontentarsi del ruolo di vice premier. Ma non tutto è come sembra. Da quello che potrebbe essere letto come un ridimensionamento il ‘mullah dei colloqui’ può trarre più luci che ombre. Proprio agendo defilato ma accanto ad Hasan, può condizionarne gli orientamenti. Nel braccio di ferro a distanza con Serajuddin per la guida del Paese, è quest’ultimo ad averci rimesso. 

 

Avrebbe voluto esser lui il padrone del secondo Emirato, i menzionati suggerimenti esterni non l’hanno escluso, ma premiato come desiderava. Ne hanno tutelato il clan: il potente zio Khalil mette le mani sul ministero dei Rifugiati, altri componenti gestiscono Telecomunicazioni e Università. Per il dispiacere delle donne su cui potranno far pesare esclusioni. L’equilibrio fra i capi pone Muhammad Yaqoob, il figlio del mullah Omar, al ministero della Difesa. Sempre per l’area della forza Abdul Wasiq controllerà l’Intelligence. Amir Muttaqi diventa ministro degli Esteri, e l’ormai noto Zabinullah Mujahid, è ministro della Cultura. Superfluo ricordare come vari di questi nomi sono sulle liste nere della Cia, anche perché gli uomini della Cia hanno dialogato con costoro e non solo quand’erano rinchiusi nella superprigione di Guantanamo. Così la taglia da milioni di dollari sulla testa dei due Haqqani più noti, Serajuddin e Khalil, diventa folklore ora che i grandi della terra inizieranno a dialogare con loro. E Baradar e Wasiq liberati dalle rispettive reclusioni per raggiungere lo scopo che è ora sotto gli occhi della Comunità internazionale: un Afghanistan senza truppe d’occupazione, non potranno essere additati come reprobi d’un fosco passato. Resta il presente, incertissimo per chi vuol fuggire e per chi resta. Per chi china il capo e chi protesta. Poiché oggi c'è chi chiede diritti e anche pane. Un presente pesante come i mesi e forse gli anni che seguiranno.

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