giovedì 29 luglio 2021

Tunisia, quel che bolle in pentola

Sono in tante, e già formano un bel coro, le voci pronte a dire che no, RoboCop-Saïed non è il golpista che appare. E’ un esperto di diritto, proprio Costituzionale, non un militare assetato di potere personale. Ha raggiunto la massima carica dello Stato evitando l’appoggio dei partiti. Eppure… Eppure basterebbe osservare le sue mosse, compiute in parziale disprezzo della Carta Costituzionale, cui comunque si richiama usando come grimaldello norme interpretate soggettivamente. Quell’articolo 80 cui s’è richiamato per sbarazzarsi d’un premier a dire di molti incapace, prevede la condivisione con figure: il presidente della Corte Costituzionale,  che da anni non è stata nominata, il presidente del Parlamento, che lui ha evitato come la peste. L’ha evitato perché quell’incarico è ricoperto da Rachid Ghannuchi, vecchio leader del non amato partito Ennahda, e questo è comprensibile. Ma le regole sono regole e Kaïs Saïed, mostra di amarle e soffrirle a piacimento. Ancor più non ama un parlamento, dove il partito islamico ha una maggioranza, cosicché ne congela il ruolo mentre cerca di cooptare un premier acquiescente al suo disegno. Che se non sarà quello di imporre il futuro a suon di carri armati - ma mai dire mai - usa come un carro armato una forzata sua autorità, cavalcando la polarizzazione d’un Paese ampiamente in affanno. Per le politiche liberiste del fu presidente Essebsi, per gli attacchi terroristici dell’Isis che da cinque anni hanno fatto inabissare l’economia turistica, per la mediocrità del ceto politico tunisino, islamico e laico, per la corruzione di troppi personaggi coinvolti nella politica. Eppure da ‘cavaliere solitario’ orientamenti e progetti futuri Saïed li mostra chiaramente quando duetta con gli uomini forti della restaurazione del mondo arabo mediterraneo. Si consulta con lo staff del golpista Sisi, vede di buon occhio il signore della guerra Haftar, la coppia egiziano-libica che rientra nella restaurazione mediorientale orchestrata dal principe Bin Salman, innovatore tecnologico-finanziario del suo impero redditiere, e oppressore dei diritti appena si può, un po’ ovunque. 

 

Questa è l’altra faccia dell’espansione regionale di cui l’Occidente accusa, non a torto, la Turchia erdoğaniana ma nel Risiko delle varie sponde mediterranee, fra chi c’è e chi vorrebbe esserci e dettar legge, la partita è variegata e apertissima. La minuta e travagliata Tunisia si ritrova schiacciata in un disegno geopolitico certamente più grande di lei, bisognosa di aiuti sanitari, come tante nazioni africane, per il flagello del Covid e desiderosa d’aiuto esterno per offrire lavoro alla sua gente, per metà disoccupata o ridotta alla stessa disperazione di cui s’immolò Bouazizi. A conferma della spaccatura che corre nelle menti del popolo tunisino ci sono le opposte considerazioni esposte in queste ore. La scrittrice Hela Ouardi, docente di letteratura presso l’Università di Tunisi, dichiara al Corriere della Sera che non è in corso l’ennesimo scontro fra mondo laico e islamico. A suo dire Saïed sta lavorando come un chirurgo (sic) anche se i suoi tagli estirpano un premier, mettono in coma il Parlamento… Invece Saida Ounissi, deputata e portavoce di Ennahda,  intervistata da Al Jazeera (da Doha perché la redazione dell’emittente a Tunisi è stata fatta chiudere da RoboCop), afferma: “La questione è chiara, il presidente Saïed sta attaccando la democrazia. La sua azione produce una sorta di confisca del potere, ovviamente illecita. Il riferimento all’articolo 80 della Costituzione è solo un pretesto. Non esiste alcun pericolo imminente per la nazione. Esistono problemi di salute pubblica per la pandemia da Covid, e vanno risolti anche con l’aiuto internazionale che invece è avaro di dosi vaccinali e di strumenti sanitari. Esistono problemi economici e di gestione amministrativa, non diversi da quelli che si sono accumulati per anni, sotto varie gestioni politiche”.  

 

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