Con la partenza statunitense e delle truppe Nato
dall’Afghanistan gli occhi della
geopolitica internazionale sono orientati sulla galassia talebana pronta a
occupare, accanto a ulteriori distretti, i punti chiave del Paese. Se essa,
come un venticinquennio fa, proporrà un potere centrale lo scopriremo nel
tempo. Per ora si conoscono le sue divisioni, la lotta per la supremazia
territoriale combattuta a suon di attentati sulla pelle d’una cittadinanza
inerme, i contrasti fra clan patrocinati da nazioni amiche. Dunque la via per
Kabul non è affatto lineare. Difficilmente sarà pacifica, al di là se chi è
costretto ad abbandonare il comando, non certo il controllo del Paese che non
ha da tempo: i Ghani, gli Abdullah, l’antica nomenclatura, organizzerà fazioni
armate. Ostilità possono aprirsi direttamente fra talebani ortodossi e
dissidenti che per tre anni si sono misurati a distanza massacrando la
popolazione. Ai maggiori pretendenti della Shura di Quetta diretti da Akhundzada,
s’oppone lo Stato Islamico del Khorasan. Uno dei suoi leader, Ahmad Farroqi, è
stato arrestato dall’Intelligence afghana quindici mesi fa, subito dopo aver
progettato e fatto eseguire l’attentato al tempio di Kabul (marzo 2020), ma
continua a godere la protezione della potente struttura dell’Intelligence
pakistana (Isi). Un organismo che può condizionare esercito e premier, in tanti
casi è accaduto, e l’attuale primo ministro Khan non sembra far eccezione.
Esperti d’intrighi pachistani riferiscono d’una
spaccatura nell’Isis del Khorasan, e nuovi raggruppamenti di talebani
dissidenti, i Taliban Khattak che vanno ad aggiungersi ai Tehreek- i Taliban e
all’ondivaga Rete di Haqqani, tutti ostili ai coranici del mullah Barader che hanno
firmato il trattato di Doha e s’accingerebbero a organizzare un futuro governo.
Per l’espresso benestare dei Servizi di Islamabad verso il descritto intreccio,
volto a ostacolare il viaggio dei turbanti ortodossi sulla Kabul del potere,
l’idea d’una transizione burrascosa e guerrafondaia appare certa. Anzi,
l’occasione per condizionare le vicende afghane da parte pakistana appare
scontatissima con l’aggiunta della novità di chi si colloca dietro quella
potenza regionale. Uscita l’America alcuni giurano che si farà avanti proprio
la Cina, finora penetrata, come ovunque nei continenti che gli interessano, cioè
tutti, tramite le setose vie
dell’affarismo economico. E’ quanto sostiene un recente intervento presente
nelle pagine della rivista Limes, che
ricorda l’affanno di Pechino sul separatismo uiguro, da lì una ricerca d’aiuto sul
terreno pakistano da sempre vicino al fondamentalismo islamico. Fra le opzioni
a disposizione dei poteri di Islamabad - che spesso non coincidono e si elidono
visto che politica ufficiale, esercito e Servizi percorrono strade anche
differenti fra loro - quella del terrorismo itinerante risulta più praticabile
e potente della stessa bomba atomica. Quest’ultima non si usa, mentre le frange
che prosperano nelle Aree Tribali Federali (Fata) possono venir direzionate.
Ovviamente non a totale piacimento. I signorotti della
guerriglia o più precisamente del camion-bomba mostrano anche mire soggettive,
vanità personali, narcisimo altalenante. Un esempio è proprio l’epigono della
Rete di Haqqani quel Sirajuddin succeduto al padre Jalaluddin. Al di là del mai
risolto complesso edipico verso un padre con famoso e ingombrant - che s’era
fatto le ossa nella resistenza anti-russa dando poi vita alla Shura di Peshawar
contraltare della Shura di Quetta - genitore, figlio e accoliti hanno voluto
mantenere un’autonomia operativa dagli altri nuclei talebani. In più occasioni
si sono distinti per azioni sanguinosissime segnate da logiche tribali prive
d’un disegno complessivo se non quello di dettare legge nei cinquecento chilometri
di confine fra Afghanistan e Pakistan. Col controllarne traffici d’ogni sorta
dai quali riscuotere dazi, che assieme ai finanziamenti dei “donatori” del
Golfo costituiscono la forza finanziaria del gruppo. La loro formazione confessional-ideologica
è vicina al deobandismo della madrasa Darul Uloom Haqqania (di qui il nome del
gruppo), ma gli orientamenti tattici vengono suggeriti dall’Inter Servis
pachistana. Solo all’autorità del mullah Omar, Haqqani padre decise per un
periodo di sottostare, mentre due anni fa in una sorta di emulazione Sirajuddin
sembrava accettare la linea di trattativa stabilita a Doha dai seguaci di
Akhundzada. Un suggerimento via l’altro i Servizi pachistani disponibili alle
lusinghe cinesi (e alle loro elargizioni) potrebbero indicare ai talebani
dissidenti un copione per non infuocare la situazione interna afghana. Ma il
loro fondamentalismo islamico, sensibile ai dolori patiti dai fratelli nello
Xinjiang, avrebbe qualcosa da ridire. Così il cielo afghano resta assolutamente
tempestoso.
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