Attiva sin dallo scorso giugno EgyptWide, rete che raccoglie sessantaquattro organizzazioni della
società civile di varie nazioni del mondo, impegnata a richiedere ai propri
Paesi, alle Nazioni Unite, allo stesso regime guidato da Abdel Fattah al-Sisi
un monitoraggio sulla situazione dei diritti umani in Egitto, ha presentato
oggi al Senato della Repubblica Italiana il proprio documento “Mappare la
repressione”. La denuncia è nota: da otto anni il grande Paese arabo vive una
drammatica riduzione dello spazio di vita pubblica. Non sono perseguitati solo oppositori,
sindacalisti, attivisti, giornalisti, avvocati, ricercatori, il clima di
terrore è diffuso fra la popolazione che teme di finire in prigione o peggio di
morire per via, in una stazione di polizia, in un luogo di tortura segreto.
Questo blocca da tempo la vita civile di milioni d’individui. Tutto è
giustificato da “operazioni di sicurezza nazionale” che non riguardano affatto
la sicurezza individuale e collettiva, al contrario in maniera criminale attentano
alle certezze e alla libertà, come testimoniano i casi degli assassinati dal
regime. Il meccanismo innescato punta alla paura, cosicché ciascuno nel proprio
ruolo ideale, professionale e nello spirito critico del semplice cittadino
perda la possibilità di esprimersi, temendo di finire nel girone infernale
delle detenzioni arbitrarie, dei processi infiniti, delle vendette dirette o
trasversali. I “sette passi” che EgyptWide
propone a chiunque voglia sostenerla nel grido d’allarme sono così cadenzati:
rilascio di tutti i prigionieri politici, blocco delle rotazioni detentive,
revoca dello stato di emergenza imposto dal 2017 in violazione della
Costituzione, rinvio delle condanne a morte emesse, fine dei procedimenti
penali contro i difensori dei diritti umani, dialogo su un diritto di famiglia
equo soprattutto per le donne, eliminazione della censura per gli oltre
seicento quotidiani online e siti Internet bloccati. Nel dossier son menzionati
anche alcuni fra i detenuti più noti: il giornalista e ricercatore politico Ismail al-Iskandrani, condannato a dieci
anni di reclusione dopo l’arresto nel 2015 e oltre due anni di rinvii
detentivi. La sua colpa è studiare i gruppi islamisti. Sayed al-Banna, avvocato dei diritti, è da oltre due anni in attesa
di processo con l’accusa di adesione a gruppi terroristi. E’ vittima della
formula del rinvio in cella ogni 45 giorni. Era già stato arrestato nel 2016
per aver partecipato alle proteste contro la cessione ai sauditi delle isole
Tiran e Sanafir.
Altro avvocato è Haitham Mohamadeen, in custodia
cautelare dal 2019 anch’egli accusato di terrorismo e per aver pubblicato
notizie false. Aderente del partito socialista rivoluzionario, ha partecipato
alle proteste sociali del 2008, alla rivolta di Tahrir, fondando il Revolution Road Front e aderendo al
Centro El Nadeem contro le vittime di
violenza. Arrestato più volte, sarebbe dovuto tornare in libertà nel marzo di
quest’anno ma il rilascio non c’è mai stato. La giornalista Shaimaa Sami, ricercatrice e attivista
dei diritti. Nel maggio 2020 è stata sequestrata presso la sua abitazione ad
Alessandria, detenuta in luogo segreto per una decina di giorni, quindi
condotta nella Procura per la sicurezza nazionale e accusata di diffusione di
notizie false e terrorismo. Sarebbe dovuta uscire di prigione nel gennaio 2021,
ma la custodia del tutto illegale è proseguita, “giustificata” dal rinnovo automatico ogni due
settimane. Ramy Shaath, difensore
dei diritti e coordinatore in Egitto della campagna “Boicottaggio,
Disinvestimento, Sanzioni” per lo Stato d’Israele. Noto per il sostegno della
causa palestinese, anche per questo è accusato di rapporti con “gruppi
terroristici” che s’oppongono allo sgombero forzato delle case di Gerusalemme
Est. Shaath ha vari processi in corso e il suo stato detentivo risulta
particolarmente complesso. Walid Shawky
è un medico dentista, impegnato sul fronte dei diritti umani. Aderendo al
movimento 6 Aprile si è ritrovato nel 2018 in manette nella sua clinica del
Cairo con l’accusa di vicinanza a un gruppo terrorista. A due anni dall’arresto
non ci sono prove materiali contro di lui, ma la regola dei rinvii ogni 45
giorni, lo tiene in cella. L’architetto e ricercatore Ibrahim
Ezz El-Din è in custodia cautelare dopo aver conosciuto nel 2019 un
rapimento e una detenzione in luogo non identificato per cinque mesi e mezzo. Duramente
torturato con vari arnesi, digiuni, privazioni del sonno, a fine dicembre 2020
è stato prosciolto dalle accuse di diffusione di notizie false (s’era occupato
di lotte per gli alloggi e sgomberi forzati di strati umili della
cittadinanza), però non è mai uscito di galera. Lo studente-ricercatore Ahmed Samir, residente in Austria, è
stato bloccato dopo il suo rientro
in Egitto, incautamente aveva pensato a una vacanza sul Mar Rosso. Nello scorso
febbraio, di ritorno dalla villeggiatura, s’era recato in una stazione di
polizia dove è stato trattenuto dal Servizio di Sicurezza Nazionale. Incappato
in interrogatori e torture per ritrovarsi bloccato di quindici giorni in
quindici giorni fino a oggi.
Sanaa Seif, regista e attivista, è stata condannata a un
anno e mezzo di reclusione una prima volta nel 2020. Nello scorso marzo la condanna
s’è ripetuta per l’aiuto offerto alla madre che inscenava un sit-in davanti
alla prigione di Tora 2 dov’è rinchiuso un altro membro della famiglia. Mohamed Adel, blogger e attivista dei
diritti umani, è fra i fondatori del Movimento 6 Aprile, aveva dato vita alle
proteste contro Mubarak nel 2008. Fermato nel 2013, arrestato per tre anni e
condannato ad altri tre di libertà vigilata, ha subìto un ulteriore arresto nel
2018 per diffusione di false notizie. Nel 2020 è stato inserito in un altro
caso repressivo per terrorismo e divulgazione d’informazioni sensibili. Resta
in custodia cautelare per due procedimenti.
Mohammed al-Baqer è un difensore dei
diritti che dirige il Centro legale “Adalah”, è rinchiuso nella prigione di
massima sicurezza ‘Skorpion’. Venne rinchiuso in prigione mentre prestava assistenza legale
all’attivista Abdel Fattah e come lui accusato di terrorismo, dopo più d’un
anno e mezzo dall’arresto l’accusa non ha mostrato nessuna prova, solo
congetture. Alaa Abdel Fattah, blogger e attivista fu
rinchiuso per un caso del 2019, il refrain è il solito: notizie false e
terrorismo. Conosciuto per l’impegno libertario durante l’intera fase di
ribellione del 2011, è finito immediatamente nella rete repressiva dopo il
golpe del 2013 scontando cinque anni di libertà vigilata. Nel settembre 2019 è
stato nuovamente arrestato con le medesime accuse ed è tenuto in surplace, ovviamente
in galera. Di Patrick Zaky in Italia
si sa tutto. Anche i nostri senatori e il governo Draghi sono al corrente dei
soprusi del regime egiziano che l’incastrano. Assieme ai tanti compagni di
sventura vessati da Sisi riuscirà a ricevere quel reale sostegno internazionale
invocato da EgytpWide?
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