La Guida chiama, il suo Iran risponde. Così dopo l’intervento
pubblico davanti a familiari di martiri storici, morti nella guerra contro
Saddam Hussein, e martiri più recenti degli interventi iraniani in Siria e
Yemen, l’ayatollah Khamenei aveva ieri accusato “i nemici della nazione riuniti nel sostenere con ogni mezzo - denaro,
armi, Intelligence - la protesta in atto”. Già nell’occasione alcuni
pasdaran presenti non riuscivano a trattenere il desiderio di vedersi
autorizzati ad agire contro i dimostranti, al posto della polizia che in sei
giorni ne ha accoppati una ventina e arrestati cinquecento, registrando anche
una propria vittima, colpita con armi da fuoco. Oggi l’Iran fedele allo sciismo
e alla teocrazia torna in piazza, in molte piazze anche quelle delle piccole
località messe in subbuglio dai manifestanti stanchi di promesse e rabbiosi
contro un regime che non risolve contraddizioni e necessità primarie, di cui il
lavoro per un futuro dignitoso è l’asse centrale. Ma nel portare in corteo veterani
e donne in chador, il primo degli ayatollah iraniani accelera i tempi, lui non
vuole ascoltare le “giuste critiche della
piazza” come aveva detto solo tre giorni prima il presidente Rohani. Khamenei
sceglie di tirar dritto probabilmente perché ha fiutato i rischi del momento:
il rischio interno del disamore di venti e trentenni per una visione tutta
ideologica della vita nazionale, e quello esterno, dei nemici dell’Iran, che
esistono come esiste la politica del cambio di regime.
Questo, però, può diventare il leit-motiv per tralasciare pecche
presenti e ben individuate: corruzione e arricchimenti di pochi rispetto alle
condizioni generale di ceti popolari sempre più impoveriti, sì dall’embargo
occidentale che non s’è chiuso con la firma dell’accordo sul nucleare, ma anche
dalle scelte politiche di dirottare denaro su difesa, milizie pasdaran, guerre
in corso. Mentre in settori comunque produttivi, come quello della compagnìa
petrolifera Arak, gli stipendi alle maestranze non vengono pagati. Se a tutto
ciò s’aggiungono i finanziamenti crescenti per talune bonyad (ultimamente quella
dell’ultraconservatore Mesbah-Yazdi) e
‘tesoretti’ che, come un tempo e più d’un tempo fanno capo a mullah e
ayatollah di primo piano, l’acredine cresce. Le piazze che tracimano, come s’è
notato senza la direzione di leader e partiti, possono contenere anche uomini e
interessi esterni, compresi quelli di marca iraniana dal gusto retrò come opposizioni
filomonarchiche o di mujaheddin pseudorivoluzionari, ma prendono spunto da
contraddizioni reali. Ciò che è mancato finora sono risposte concrete, e la
diplomazia di Rohani evidenzia piedi d’argilla perché il suo spirito non pare
quello riformatore di fine Novanta e neppure accontenta una generazione che
nella rivendicazione laica cerca forse proprio valori di vita che li renda
simile ai turisti visti negli ultimi due anni per le vie e nelle belle moschee
del Paese. Voglia di globalizzazione? Può darsi. I sociologi narrano della
trasformazione della vita nei piccoli centri, di costumi ed esigenze
“urbanizzate” secondo sviluppi tecnologici (non secondario il ruolo del web e
dei social media come Instagram e Telegram bloccati in questi giorni)
inseguendo anche un’ottica consumistica.
Ma c’è chi dice altro. La spaccatura sarebbe sui valori, e dunque sì precarietà e benessere, hijab e
capelli al vento, risentimento contro lo strapotere dei chierici, ma riguarderebbe
quel che c’è dietro e dentro questo popolo che ha lottato per scrollarsi di
dosso l’odiosa dittatura del 'Trono del pavone', perché la disillusione può
essere legata al sistema che l’ha sostituito. Alla struttura e ai valori
dell’attuale società. Se la redistribuzione della ricchezza, pura utopia sotto
le grinfie sanguinose dello Shah (che solo chi non l’ha conosciuto o non vuole
approfondire il passato, immagina come tollerante e democratico) non ha seguìto
il percorso promesso dalla Rivoluzione khomeinista, arricchendo congreghe o
singoli, ecco che i conti non tornano e la rabbia periodicamente riaffiora. E
in questo essere contro si mescolano la materialità del lavoro e la
spiritualità del senso di giustizia, dignità, libertà. Categorie sventolate
assieme al tricolore nazionale anche dalla piazza in chador, osservante di un
Islam interpretato dalla Guida Suprema, di una società paritaria cui occhi
fedelissimi credono senza opporre dubbi. E’ l’attuale Iran che si scontra
anziché incontrarsi, fiero del proprio coraggio, unito finora nel rigettare
quei richiami di democrazia che rimano con ipocrisia, visti gli autori dei
proclami esteri. Una società comunque in subbuglio, con tante mani che s’infilano
in una partita già intricata e dagli sviluppi incerti.
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