Per ammissione
della Commissione Elettorale Indipendente, che vigila, o dovrebbe farlo, sulla
trasparenza delle operazioni di scrutinio e dell’apertura delle stesse, nessun
osservatore è in grado di seguire tutte le fasi di viaggio delle urne dalla
periferia a Kabul. I box di voto sospettati di manomissione vengono visionati
da addetti al conteggio, ma in alcuni casi non si sa dove tale verifica avvenga.
Perciò talune manomissioni, già registrate ed entrate fra i motivi di ricorso,
potrebbero essere solo una piccola percentuale dei tentativi di broglio in
atto. Eppure il numero degli osservatori sul campo è impressionante: ben
358.000 persone monitorano a vario titolo i passaggi elettorali. Lo spoglio
che, in occasione dell’annunciata supremazia di Abdullah su Ghani, riguardava
il 9% delle schede votate proseguirà sino all’8 maggio, i dati definitivi
giungerebbero a metà del mese prossimo. Se venisse confermato il copioso
distacco dei su menzionati candidati sul resto dei concorrenti si
prospetterebbe un ballottaggio fra i due che coinvolgerebbe il Paese per un
altro trimestre. Secondo la proiezione resa nota Abdullah è in vantaggio nelle province di
Kabul, Kapisa, Parwan, Kundoz, Samangan, Balkh, Sar-e-Pul, Badghis, Herat,
Bamian e nelle zone del Panjsher, mentre Ghani conduce a Logar, Paktia, Khost,
Nangarhar, Kunar, Laghman, Takhar, Jawozjan, Faryab, Farah, Nimroz, Helmand e
Zabul. Rassoul è sicuramente padrone dell’area di Kandahar, Sherzai della
provincia di Uruzgan.
Intanto proseguono inquietanti episodi di tiro
al bersaglio da parte di esponenti dell’esercito afghano. Due
settimane fa s’era verificato l’omicidio della fotoreporter tedesca Anja Niedringhaus,
premio Pulitzer, e il ferimento d’una giornalista canadese. Venti giorni prima
era stato fatto fuori il radiocronista svedese Nils Horner, davanti all’hotel
Serena, l’unico frequentabile di Kabul. Si disse a opera di talebani, ma si
sospetta di ‘lavoretti particolari’ dei Servizi, se di sponda occidentale od
orientale non è chiaro. In questa circostanza si è trattato d’un ferimento: a
essere colpita vicino la sua abitazione è Maryam Koofi, deputata della Wolesi Jirga dell’area
nord-est e sorella della più nota Fawzia, quest’ultima impegnata in iniziative
che riguardano questioni femminili. A premere il grilletto un uomo in divisa
poi ferito dalla guardia del corpo della parlamentare. Il reiterarsi di simili
episodi, diffusi mediaticamente solo nei casi più clamorosi che colpiscono
persone conosciute, conferma l’enorme instabilità delle strutture di sicurezze
locali infiltrate da talebani, impegnate a reclutare soggetti che non si fanno
irreggimentare oppure vestono la divisa solo per riscuotere un salario mensile,
basso ma sicuro di fronte all’elevatissima disoccupazione esistente. Si tratta
d’uno scenario che si sussegue da oltre un biennio, quando è iniziato il
massiccio impegno delle forze Isaf nel reclutare uomini e addestrarli in
proiezione del ritiro delle truppe a terra previsto per la fine di quest’anno,
e che è diventato una sorta di conferma d’un piano fortemente in crisi.
Del resto la presenza sul suolo afghano di
militari occidentali è, ormai, sconveniente sia sul piano economico: un soldato
afghano costa 500 dollari mensili contro i 15.000 d’una corrispettiva divisa
statunitense, sia perché i rischi all’incolumità sono elevatissimi e la futura
strategia impone una presenza occidentale mirata alle basi aeree. Il Bilateral Security Agreement è tuttora
in attesa della firma afghana che si farà attendere sino all’ufficializzazione
del nuovo presidente.
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