Sono le braccia sollevate di Abu Sayeed, lo studente dell’università Begum Rokeya che protesta davanti alla polizia, l’atto d’accusa senza appello per il governo di Sheikh Hasina. Il suo assassinio è stato ripreso dalle telecamere televisive e mostrato all’opinione pubblica. Diversi commentatori l’hanno paragonato al cinese wángwéi lin, cioè l’uomo del carro armato, come venne definito il giovane che il 5 giugno 1989 si parava davanti ai carri militari disposti nella pechinese piazza Tienanmen e che fu probabilmente stritolato. Di lui non si seppe né la fine né il nome. La repressione scatenata in Bangladesh contro la protesta studentesca sulle quote di assunzioni statali riservata a figli e nipoti dei reduci dell’indipendenza nazionale del 1971, è la punta dell’iceberg di un più diffuso malcontento popolare. A un primo impatto d’un ordine pubblico improntato sul contenimento delle manifestazioni, con la polizia che usa lacrimogeni e cannoni ad acqua, sono seguiti attacchi mirati con l’uso di proiettili di gomma e di piombo. Sono bastati i primi ad atterrare il ventiduenne Abu, bersagliato mentre levava le braccia. Colpito una prima volta lui ha un moto di autotutela, si piega. Poi rioffre il petto su cui giungono diversi proiettili. Il ragazzo si ripara come può, visto che è in campo aperto, s’accartoccia finché non viene portato via a braccia dai compagni. L’esame post-mortem ha decretato che sul corpo c’erano parecchi segni di colpi ricevuti a distanza ed è stata un’emorragia interna a causare il decesso. Secondo testimoni e alcuni partecipanti alla protesta le vittime sono scaturite da questi ordini draconiani, colpire per uccidere, così da sfibrare i ranghi degli attivisti e impaurirli. Si fa un parallelo con la repressione del 2018, altra circostanza in cui le forze dell’ordine si scatenarono contro chi scendeva in strada. L’atto d’accusa è rivolto a lei, la populista Hasina che odia una parte del popolo, quella che non accetta passivamente il suo volere. La polarizzazione è alimentata anche da questo genere di provvedimenti contestati, e chi era in piazza lancia duplici accuse: contro Chhatra League, l’organizzazione studentesca del partito di governo che armata ha lanciato attacchi alla protesta, e contro la polizia intervenuta a senso unico sui contestatori della Hasina, senza muovere un solo manganello sulla fazione giovanile a lei vicina. Gruppi dell’opposizione hanno additato sicari prezzolati per fomentare caos e uccidere. Non ci sono prove che abbiano coadiuvato gli attacchi del Chhatra League, ma i sospetti sono tanti. Fra le componenti attaccate dai filo governativi ci sono alcuni collettivi femministi, presenti in strada, che negli ultimi anni si sono battuti contro la pratica dello stupro teorizzata e attuata dai militanti CL. Insomma da tempo il clima interno sta degenerando sul fronte della violenza, perché il partito pigliatutto della premier non tollera alcun genere di critica. I collettivi studenteschi hanno denunciato la presenza in alcune università di aulette adibite nientemeno che a celle di tortura, e si parla anche di omicidi extragiudiziari. Il ministro dell’Interno sorvola sulle accuse, nessun organismo internazionale interviene sulle vicende interne al Paese anche per la buona rete diplomatica tessuta da Hasina durante ogni suo esecutivo. Eppure la piazza continua ribollire, sotto la spinta giovanile anche la popolazione che sembrava narcotizzata si risveglia. Certo, l’attuale potere ha dalla sua parte Forze armate e alcune categorie protette della cittadinanza, ma le tensioni crescono. Tanti bengalesi non piegano più la testa.
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