Duecentocinquantacinque
milioni
di euro (150 per il bilancio statale, 105 per il controllo delle frontiere,
compito arduo e non gradito) è l’anticipo con cui il terzetto europeista Von der
Layen-Rutte-Meloni ha barattato col presidente tunisino Saïed quanto non era
riuscito a ottenere a giugno. La solenne firma nel Palazzo di Cartagine viene
definita ‘Memorandum Ue-Tunisia’. E’
l’anticipo dell’aiutino del vecchio continente al dirimpettaio dolente, che se
non rappresenta proprio uno Stato fallito come la Libia, è quel fantasma che
nel primo semestre dell’anno ha prodotto il doppio di migranti clandestini di
Tripoli: settantacinquemila. E rappresenta un grosso problema per la Fortezza
Europa che non vuole africani, sub-sahariani o maghrebini che siano. Altri
settecento milioni di euro arriveranno se davvero Saïed, che migranti e poveri
li odia quanto i premier olandese e italiano, non li metterà in mare. Lui a giugno
faceva orecchi da mercante: si trovava in sintonìa con gli interlocutori in
fatto d’invasione etnica (quella tunisina sarebbe minacciata dai
centroafricani), ma non accettava il ruolo di guardiano delle coste. Ora le due
tranches monetarie europee dovrebbero convincerlo del contrario. Sebbene il
grosso della cifra Ue è legata alla promessa d’introduzione di riforme
economiche e sociali, quelle che chiede a mister ‘RoboCop’ anche il Fondo Monetario Internazionale che di
denari ne darebbe il doppio (1,9 milioni di dollari) finora bloccati dalla
ritrosia del presidente-padrone capace di condizionare il suo governo
classista. Fra le due, anzi tre Tunisie esistenti, il ceto politico ora
cortigiano di Saïed - come lo fu di Essebsi e di Ben Ali - sta con la lobby
degli affari, che i capitali stranieri (in realtà sempre più ridotti) lancia
sul fronte turistico di Hammamet e dintorni. L’impresa produttiva
manifatturiera è ridotta al lumicino, quella estrattiva sopravvive a solo
vantaggio delle multinazionali che pagano dazio ai faccendieri interni in un
cortocircuito di vantaggi personali. Resiste l’agricoltura soprattutto dell’ulivo,
ma non per redistribuire ricchezza a chi mette scarponi sulla terra e mani
sulle fronde. Gli imprenditori agricoli, anche italiani che investono oltre il Canale di Sicilia, lo fanno per risparmiare
sulla manodopera.
L’affermano loro stessi senza remore: si sta qui perché conviene tantissimo: braccianti
super sfruttati, controlli zero su orario di lavoro, paghe e sulla stessa filiera
produttiva che, ad esempio per l’olio tunisino, vuol dire attaccare
l’eccellenza italiana dell’extra vergine che si potrebbe definire stellato.
Comunque non è il solo e questo lo decide il Parlamento di Bruxelles, non il
Palazzo di Cartagine. Allora si potrebbe domandare alla madrina del “made in
Italy” Giorgia Meloni se simili
pensierini gli frullano per la testa quando aderisce ai partenariati con un
governo-pirata. Probabilmente risponderà d’essere in ballo per altro. Che è il
lucchetto con cui si vogliono chiudere le rotte da Sfax e dintorni verso
Lampedusa, la Von der Layen è lì per onor di firma e Rutte per solidarietà
respingente con l’omologa romana. Il Memorandum
di lor signori pensa ben poco alla seconda Tunisia, quella che rischierà la
fame se non si rinnova l’accordo sulla distribuzione del grano ucraino e russo
scaduto oggi. Proprio come un anno fa e la faccenda s’estende a tutto il
Nord-africa e Medioriente. Un gran numero di tunisini, impoveriti già da tempo,
temono la totale disoccupazione, e arrangiarsi coi turisti, in ogni modo anche
fuori dai circuiti legali e morali, non potrà
essere una soluzione generalizzata. Come non lo è sfruttare la
disperazione dei migranti o organizzarne la tratta. La terza Tunisia poi sta
nell’inferno. Negli stazionamenti, ora all’aria aperto, negli angiporti, fra
fronde e sterpi, in attesa del salto di quello che non è più “il gioco” bensì il
“il giogo” e il cappio con cui si ritrovano stritolati e affogati. Questa terza
Tunisia, impropria perché fatta da fratelli non tunisini, neri e perciò
disconosciuti come uomini dal razzismo del locale presidente, non riceverà
nulla dei milioni o miliardi promessi. Il triangolo Bruxelles-L’Aja-Roma,
divenuto un quadrilatero con Tunisi, mira a condividere sulle due sponde del
Mediterraneo, quello ricco e quello povero fino al profondo nord dell’Europa,
solo il desiderio di potere, per lanciare sulla pelle dei cittadini un sistema
classista e di esclusione dei più deboli. Le maschere possono essere varie: dall’immancabile
business delle rinnovabili, alle promesse di piani Erasmus per gli studenti locali. Basta crederci.
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