domenica 17 maggio 2020

Nuovi arresti di sindaci kurdi in Turchia


Cinque anni sono trascorsi dalla gioia dell’exploit politico-amministrativo del Partito democratico dei popoli alla caduta nell’inferno carcerario di tanti suoi membri. Il sorriso della prima settimana di giugno 2015, che nelle elezioni politiche dava all’Hdp ottanta deputati nel Meclis, veniva insanguinato dall’assedio armato di alcuni centri del sud-est anatolico, su cui spiccò il settembre nero di Cizre. Da lì, assieme all’esercito di Ankara che sparava sulle case e su chi le abitava, iniziò la decurtazione del sogno amministrativo kurdo. La co-sindaco Leyla İmret venne esautorata dall’incarico dal premier dell’epoca Davutoğlu e sostituita da un funzionario scelto dal ministro dell’Interno Altinok. Due sodali di Erdoğan col tempo scomparsi, almeno dal governo, mentre la linea di cancellazione della rappresentanza kurda ha proseguito il suo corso, specie dopo il mancato golpe del luglio 2016. Mentre l’attacco al voto popolare continua ad andare di pari passo con la persecuzione giudiziaria di amministratori e deputati kurdi. Così il ministero dell’Interno, attualmente è Süleyman Soylu, ha comunicato la destituzione dei due co-sindaci di Siirt, e di altri due colleghi dei distretti di Kurtalan e Baykan. Stesso provvedimento nella cittadina di Idgir. Tutti sono stati rimpiazzati da amministratori di nomina governativa, dunque non si provvede a una rielezione popolare, ma si collocano funzionari o personaggi che gravitano nella sfera del partito di maggioranza. Dalle elezioni amministrative dello scorso anno, in cui l’Akp ha perso la guida nelle maggiori metropoli e città del Paese, dei sessantacinque sindaci targati Hdp che erano stati eletti in varie località del sud-est ben quarantacinque sono stati rimossi.
Ventuno sono stati addirittura arrestati con la solita accusa di fiancheggiamento del terrorismo attraverso una prossimità politica col Pkk. Purtroppo non è una novità, e il partito filo kurdo sta subendo un quasi totale azzeramento della generazione di quadri e figure di spicco del partito che s’erano formate nell’ultimo quindicennio. Tra esse c’è il deputato e co-segretario dell’Hdp Demirtaş detenuto dal novembre 2016 presso il carcere di massima sicurezza di Edirne con accuse di favorire il terrorismo. Nei mesi scorsi, nonostante un grave malore e precarie condizioni cardiocircolatorie, è stata respinta la richiesta dei suoi legali per un trasferimento in ospedale. Proprio il ministro Soylu, alla guida del dicastero dell’Interno dal 2016 (dopo l’abbandono del predecessore Ala accusato d’essere troppo morbido verso ogni  terrorismo islamista, kurdo e gülenista), il mese scorso voleva dimettersi anch’egli. Glielo ha impedito Erdoğan in persona. Soylu era stato criticato per aver imposto il coprifuoco in oltre trenta città, come misura per contenere la pandemia. La sua permanenza nell’Esecutivo nella delicata fase di crisi virale ed economica della Turchia è stata imposta dal presidente che pochi giorni prima aveva dovuto accettare le dimissioni del ministro dei Trasporti. Eppure nonostante i balletti governativi, assieme al coronavirus non s’è fermata un certa repressione. Una giornalista e un’attivista kurda che si occupavano di controinformazione sui contagi virali sono state accusate della magistratura di “diffusione di notizie atte a creare paura fra la popolazione”. Su di loro è in corso un’inchiesta e il rischio arresto è dietro l’angolo.

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