mercoledì 1 aprile 2020

India, pandemia da incubo


Lo stretto rapporto esistente fra pandemia ed economia è sotto la lente degli specialisti nei maggiori Paesi del globo. L’India rappresenta un caso ad altissimo rischio su entrambi i terreni, sia per la quantità di popolazione coinvolta, un settimo di quella mondiale, sia perché fra i giganti emergenti nell’economia globalizzata vede convivere un sistema di antichi costumi accanto a un capitalismo, avanzato quanto ad ambizioni e prospettive, arretrato riguardo a metodi e strutture produttive. Con tragiche ricadute su condizioni e tutele dei lavoratori, ambiente e salute della popolazione. Tutto ciò, davanti a una malattia altamente contagiosa come Covid-19 e per taluni soggetti letale, in quella nazione tutto diventa più problematico. Lo spiegano esperti del settore che hanno sondato la situazione. L’epidemiologo ed economista Ramanan Laxminarayan in un intervento sul New York Times, valuta positivamente la chiusura totale per tre settimane attuata dal premier Modi, di fatto è il minimo indispensabile, che però dovrà proseguire poiché in quell’area il picco della pandemia è atteso per metà o fine maggio. Dunque la nazione-continente dovrebbe restar ferma per i prossimi cinquanta giorni. Da quel che s’è visto negli ultimi dieci la popolazione ferma non è stata. Anzi. S’è verificato il rientro verso i territori d’origine di qualche milione di pendolari e migranti rimasti senza occupazione.

L’isolamento e il distanziamento sociale, difficoltosi nelle metropoli, lo sono anche in città e nei centri minori per l’alta densità e per il sovraffollamento delle abitazioni. Distanziare un miliardo e trecento milioni d’individui non è semplice, specie quando sono concentrati in alcune aree. Da qui i problemi che ne possono seguire. Le stime che tuttora riducono i casi di contagio in cifre irrisorie sono il classico dito dietro il quale si cela il governo per non ammettere carenze strutturali. Da una parte si cerca di non scatenare il panico, dall’altra di sviare l’attenzione dalle carenze del sistema sanitario. A detta di Laxminarayan i possibili contagi potranno raggiungere dai 30 ai 50 milioni di abitanti, sebbene quelle cifre potrebbero moltiplicarsi per dieci fino all’estate piena. Ma il guaio maggiore è che il Paese può contare solo su 100.000 posti-letto per le terapie intensive e 20.000 ventilatori polmonari. Dunque, se ci fosse un’ampia estensione virale, la scelta fra chi sottoporre a cure salvavita sarebbe tragica per una platea di potenziali ammalati resa amplissima da certe patologie adulte (ipertensione e diabete) e la malnutrizione infantile di fasce povere della popolazione. Contraddizioni sociali sedimentate da decenni che molti esecutivi d’ogni orientamento hanno rimosso dai programmi. Non dalla realtà.

Secondo le stime dell’Indian Council Medical Research il picco pandemico, lasciando asintomatico o con manifestazioni lievi l’80% della popolazione, potrebbe comunque portare in ospedale un milione d’individui. Senza l’iniziativa della chiusura sarebbero stati sei milioni. Il risvolto legato all’economia è l’ulteriore elemento da incubo che il coronavirus introduce nel ventre molle della società indiana, dove seppure sia cresciuto un ceto medio, permangono, oltre a una copiosa sfera di povertà di svariate decine di milioni d’individui, una ben più consistente fascia di lavoratori precari, saltuari, giornalieri che il blocco attuale lascia senza guadagni. Se questo fermo, che limita la circolazione del virus con le persone, sarà necessario fino all’attesa del picco di maggio, questi lavoratori non avranno di che sostenere se stessi e le famiglie. Un dramma per un’economia liberista che ha portato in alto il Paese in alcuni settori, ma che non ha previsto salvagenti sociali in situazioni critiche. I 20.6 miliardi d’emergenza stanziati dal governo saranno una goccia nel mare dei bisogni se l’emergenza, com’è prevedibile, proseguirà. Alcuni Stati (Kerala, Uttar Pradesh, Tamil Nadu) hanno autonomamente lanciato un’indennità alle famiglie bisognose, ma servirà di più e soprattutto anche in altre regioni del Paese. Se sarà il Fondo Monetario Internazionale, sempre alla ricerca di contropartite politiche, oppure altri a correre in aiuto del governo di Delhi, si vedrà. Certo le posizioni razziste dell’amministrazione Modi non aiutano i rapporti con la comunità internazionale e di fatto non aiutano il popolo indiano. Potrà il grande malato asiatico ora convalescente, la Cina di Xi, soccorrere un concorrente mondiale? Lo diranno gli inquietanti mesi a venire.


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