lunedì 15 maggio 2017

Iran, la difficile scelta di un presidente per tutti

A quattro giorni dal voto per le presidenziali il governatore della provincia di Teheran, Hossein Hashemi, ha ricordato che tutti i raduni a sostegno dei candidati sono vietati. Egualmente eventuali incontri pubblici davanti al quartier generale del proprio politico hanno bisogno d’un permesso governativo. E’ una sorta di stretta dall’alto quella che si percepisce in queste ore nel Paese dove in sei aspirano alla poltrona di Capo di Stato, ma solo in tre appaiono in grado di conquistarla: il presidente uscente Rohani, che può ritrovare l’appoggio di moderati, di riformisti anche radicali e della massa della popolazione che non vuole compiere passi all’indietro che, come all’epoca di Ahmedinejad, incrementino la tensione con l’Occidente. E due personaggi della società conservatrice: il laico sindaco della capitale Qalibaf, e l’ayatollah Raisi, uomo vicino al clero tradizionalista, benvisto dalla stessa Guida Suprema. Quest’ultima, intervenendo ufficialmente qualche giorno fa, aveva fatto riferimento a tre scopi su cui lavorano i nemici dell’Iran: quello a breve termine riguarda la sicurezza interna, che si vuol colpire diffondendo caos e sedizione. Segue un obiettivo a medio termine, volto a indebolire l’economia o lasciarla paralizzata così da peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Contro tale disegno bisogna migliorare le linee produttive, spronando creatività e progettualità interne che, comunque secondo Khamenei, da tempo sono riprese.
L’intento più subdolo, a più lunga gittata, punterebbe all’eliminazione dell’establishment islamico e al mutamento di orientamento rispetto alla linea della Rivoluzione islamica finora seguìta. E’ evidente come un intervento di questo genere ponga l’ago della bilancia a favore dei candidati conservatori che, però, non hanno trovato di meglio che presentarsi entrambi e divedere il fronte dei sostenitori. Di fatto si ripete, seppur in maniera meno copiosa, quella frammentazione già registrata nel 2013 che favorì l’ascesa di Rohani. Però, come allora, lui dovrebbe ottenere il pieno di voti subito, al primo turno, perché l’ipotesi di un ballottaggio con uno dei due tradizionalisti potrebbe riversare su Qalibaf o Raisi anche i consensi ricevuti dall’altro. Stavolta dietro le quinte non ci sarà il pragmatico Rafsanjani, scomparso a gennaio, controllore del pesante voto dei commercianti, ma la sempre viva influenza del suo ex entourage dovrebbe confezionare un secondo mandando per il presidente-diplomatico. Eppure la campagna elettorale di Qalibaf è stata rivolta a una spietata critica della sedicente apertura anti sanzioni di Rohani. Il politico sponsorizzato dai pasdaran ricorda come in quattro anni la popolazione ha ricevuto solo promesse e pochi fatti. Anche Raisi ha incentrato gli ultimi interventi sull’argomento del sano realismo, evidenziando ciò che distingue le intenzioni dalla concretezza d’un vero riequilibrio economico, altrimenti si è di fronte solo a proclami che hanno il sapore della beffa.

Per tacere d’una presunta crescita, risultata tuttora deficitaria... La morsa dei due agguerriti avversari potrebbe, perciò, soffocare Rohani più di quanto quest’ultimo preventivasse sin a un mese fa. Ma nell’incertezza gli analisti prevedono minori scossoni e nessuna contestazione di piazza, come accadde nel 2009. La gioventù, che mal sopporta il clero e la sua supervisione su leggi e governo, deve fare i conti coi coetanei non solo di campagna ma gli stessi metropolitani sensibili ai discorsi di attacco alla nazione e di destabilizzazione anche attraverso il voto. Un fattore che compatta attorno alle prospettive certe attualmente incarnate dal clero moderato di Rohani. Ovviamente se le porte socchiuse a investimenti che non arrivano, per nuovi veti politici della Casa Bianca, l’orgoglio interno può aggirare l’ostacolo, come sta già facendo guardando a Oriente, verso i colossi cinese e indiano già in prima fila. E quel che segnerà l’attenzione maggiore, più dell’attuale figura presidenziale, è la carica della futura Guida Suprema, per sostituire un Khamenei malato e dai medici dato a fine corsa. E’ su questo ruolo che gli ayatollah lotteranno intensamente, perché ne va del proprio domani anche personale, con la popolazione a osservare una scelta che a certi figli della Rivoluzione Islamica oggi comincia a star stretta.

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