giovedì 3 settembre 2015

Cadaverini


Il corpicino, ormai cadavere del bimbo nato profugo e mai rifugiato se non fra le braccia d’un poliziotto turco che ne constata l’assenza d’ogni luce, non è diverso da altre scene di morte ben più che prematura. Che riguardano strazi disumani decisi e compiuti da uomini in doppiopetto, uniforme o in maniche di camicia per Ragioni di Stato e di Potere. Coadiuvati dal disinteresse professionale di certa informazione mainstrem, che pur in certi casi s’indigna, mentre lascia cadere altri nell’oblìo, senza un’immagine, una riga di commento e neppure di cronaca. L’orrore, il sensazionalismo calamitano un’attenzione, purtroppo sempre più voyeristica, scevra però da consapevolezze che i drammi accaduti ci riguardano e c’inchiodano. Perché inchiodano il sistema nel quale viviamo che in un crescendo rossiniano tende a schivare e insabbiare, a deresponsabilizzarsi e distrarsi. Nel pur dibattuto conflitto siriano, da anni chi conta ha scelto di fare la conta di morti, feriti, rifugiati salvati, profughi dannati. Solo ora si prova a  tamponare un esodo gonfiato dal tempo e dalla disperazione. Morire a due anni è un insulto per noi che restiamo, impotenti e un po’ indifferenti al cospetto della fuga forzata di milioni di persone, predisposta dalla scelta di stare a guardare. Ciascuno nel proprio ruolo, centrale o marginale. Una scossa alla coscienza giunge dal cadaverino che potrebbe esserci figlio o nipote, poi si clicca su un’altra immagine. Ahinoi, esistono cadaveri di cui non ci accorgeremo mai perché, accanto a questioni trattate e narrate, ce ne sono altre dimenticate e occultate. E chi scrive, filma, fotografa faccia quanto deve per svelare il volto di chi taglia il filo, che non è Atropo. Né il Destino cinico e baro.

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