Sarà impossibile ricostruire il preciso numero dei migranti annegati al largo dell’ellenica Pylos per le carenze o le goffe manovre compiute nella notte del 12 giugno scorso dalla locale Guardia costiera che aveva intercettato l’imbarcazione dov’erano stipate fra le seicento e le settecento persone. Ma simili ‘incidenti’ - di cui si racconta il tragico epilogo solo nelle situazioni nelle quali superstiti o soccorritori ricostruiscono a grandi linee l’accaduto - sono la punta dell’iceberg di altre sciagure non documentabili perché il carico umano affonda senza lasciare traccia, almeno nei primi giorni seguenti la catastrofe. Fra le famiglie colpite dalla scomparsa dei cari quelle pakistane risultano sempre più coinvolte dal crescente numero dei migranti, in prevalenza giovani, spinti dal caos interno a lasciare le province d’origine. Nel 2022 l’Organizzazione mondiale delle migrazioni poneva i pakistani in 13° posizione fra chi attraversa il Mediterraneo cercando approdo fra Grecia, Italia, Spagna per sperare d’essere accolto in qualche Paese dell’Unione. Quest’anno il loro ranking di migrazione salirà perché a carovita, disoccupazione, alluvioni s’aggiungono le ulteriori tensioni politiche e l’instabilità interna. L’Autorità Federale d’Investigazione di Islamabad conosce da molto tempo le direttrici migratorie e pure la rete dei trafficanti che le tracciano, le rinnovano, le mutano. Secondo il maggior quotidiano pakistano Dawn un nodo di smistamento è nel Belucistan, che con i suoi spazi aperti verso l’Iran consente di variare le rotte alle organizzazioni del racket. La città di Naukundi è un punto di raccolta per chi proviene da nord, dal Gujarat, o dal centro, Multan e Quetta. Per la cronaca la località ha dato i natali all’attuale presidente del Senato, Sadiq Sirjani, esponente dell’omonima tribù che risulta istruita e ben inserita nei ranghi politici e amministrativi.
L’elezione di Sirjani è stata sostenuta anche dal partito dell’ex
presidente Khan, Tehreek-e Insaf, che
da oltre un anno infiamma il Paese con proteste contro la dismissione dall’incarico
del proprio leader. C’è da chiedersi quanto gli uomini della politica alta, di
ogni gruppo, controllino il sottobosco della politica locale che accetta
l’illegalità del racket di esseri umani. Oppure tutti tollerino tutto in base
alle disfunzioni interne che spingono tanta gioventù a sognare in un domani
altrove e le loro famiglie a finanziarne il viaggio d’una speranza che può
trasformarsi in un incubo. I maggiori percorsi, noti alle suddette autorità e
alle forze dell’ordine, sono: da Karachi verso Taftan, quindi verso Zahedan (la capitale
della provincia iraniana del Sistan-Beluchistan) fino al confine turco e oltre.
Un altro va da Karachi al Sistan-Beluchistan attraverso i distretti di Kech e
di Lasbela. Un altro ancora da Quetta per il Beluchistan occidentale fino alle
città di confine di Taftan, Mashkel, Rajay. La frontiera con l’Iran supera i
900 chilometri e, a detta dell’organismo d’investigazione, manca un numero adeguato
di guardie di confine per un’adeguata interdizione. Sicuramente fra le guardie c’è
chi chiude entrambi gli occhi davanti a profferte di denaro. E non si tratta di
semplici agenti. Comunque dai rapporti su fermati e arrestati, c’è un buon
numero di respingimenti via terra, per questo la via del mare appare più sicura,
perlomeno a lasciare il Paese. Una rotta è dal mega porto di Karachi verso il
Golfo di Oman con approdo a Dubai, ma poi la destinazione d’approdo è quella
libica, con tutto ciò che comporta lo stazionamento nei centri di raccolta e l’incognita
del proseguimento del viaggio. Più breve è la navigazione da Gwadar, il porto della
mercanzia cinese per l’Occidente. Chi ci arriva e non trova il passaggio in
barca - direzione sempre Dubai e la Libia - tende a ‘conquistare’ il
Medioriente e l’Europa via terra, finendo, se tutto gli va bene, nella
famigerata rotta balcanica che si blocca in Bosnia. Quelli che s’imbarcano da
Tobruk, o da altri lidi, non importa se libici o tunisini, rischiano la
tragedia del peschereccio Adriana.
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