sabato 20 novembre 2021

India, vince la lunga marcia contadina

Vincono contro tutti gli agricoltori indiani. Contro il premier Modi, costretto a fare marcia indietro ritirando tre decreti con cui aveva “riformato” il settore. Vincono contro la stampa ufficiale sempre ambigua verso la loro rivolta, peraltro in gran parte pacifica seppure macchiata dal sangue di manifestanti caduti sotto i colpi della polizia, una lotta che i media hanno cercato inizialmente di sminuire e poi tacciare di passatismo corporativo. I contadini, quelli minuti e non solo loro, denunciavano come le presunte riforme, che teoricamente gli consentivano di smerciare direttamente i prodotti, di fatto li isolavano a vantaggio delle grandi aziende capaci di mercanteggiare coi ciclopi della produzione e i marchi mondiali. Costoro impongono prezzi insostenibili per le piccole coltivazioni improntate sui tradizionali cicli di turnazione dei prodotti, anziché sulle monocolture. Eppure i piccoli non si son persi d’animo. Dall’ottobre 2020 si sono uniti, nonostante le difficoltà imposte dalla pandemia di Covid hanno marciato verso grandi centri, compresa la capitale. Hanno bloccato il traffico con giganteschi sit-in, sono stati dispersi dalla polizia e sono tornati ad assediare quei luoghi alla guida di trattori. Hanno circondato le barriere con cui le Forze dell’Odine li tenevano lontani da New Delhi. Hanno aggirato gli ostacoli cingendo coi loro corpi lo storico Red Fort in pieno centro cittadino. Dopo le infuocate giornate dello scorso gennaio, la resistenza passiva proseguiva senza mollare di un palmo. SI opponevano a cannoni ad acqua, lacrimogeni, fucilate che colpivano, anche a morte, alcuni di loro. Hanno contato morti in una repressione durata mesi che non risparmiava neppure i vecchi delle famiglie presenti per via. Ogni mese cadevano quattro, sette, otto manifestanti, in totale oltre seicento in differenti distretti, sebbene il centro della protesta sia sempre stato l’Uttar Pradesh. Ora i politologi affermano che Modi abbia ceduto temendo quel che potrebbe accadere a febbraio prossimo nel popolosissimo Stato (oltre 200 milioni di abitanti) chiamato alle urne. Perdere in Uttar Pradesh sarebbe un colpo durissimo per il Bharatra Janata Party, già messo in difficoltà nel maggio scorso con le elezioni in alcuni Stati, su tutti un’altra regione assai popolata: il Bengala Occidentale. Comunque ciò che ha mostrato il movimento degli agricoltori, accanto a tenacia, determinazione, convinzione di potercela fare, è l’unità d’intenti, aggirando le divisioni religiose che da anni polarizzano la popolazione all’interno delle stesse categorie di lavoratori. Il superamento di contrapposizioni anche riguardo ai sistemi di coltivazione dei campi e dei prodotti, gli esempi di alcune minoranze di comunità Adivasi attente a proporre varietà autoctone di cereali, il caso di alcuni tipi di miglio che garantiscono resa e sicurezza alimentare davanti agli stessi cambiamenti climatici. Così la presunta arretratezza di talune comunità agricole risulta più oculata e attinente alla realtà di pianificazioni mercantili legate al profitto unicentrico della monocoltura. E al di là di non secondari aspetti d’organizzazione economica, tecnica e socio-politica c’è chi vede nel successo della battaglia del mondo rurale un punto fermo per quel bisogno di democrazia e dei diritti di cui necessita la società indiana. 

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