giovedì 5 dicembre 2019

Banca Mondiale, l’Afghanistan che verrà


Cinica, ciclica e creativa la geopolitica che ispira l’economia imperialista dell’occupazione sta disegnando l’Afghanistan che verrà, con buona pace di tutte le favole raccontate per un ventennio dalle missioni di sostegno occidentali. Costose quest’ultime, costosissime, fino a duemila miliardi di dollari di spesa, e il calcolo va dal 2001 al “grande ritiro” di Obama del 2015. Spese rivolte esclusivamente a finanziare la conservazione del circo Barnum della guerra targato Nato, che peraltro continua e ha creato finora solo le super basi aeree per il controllo regionale e il conflitto coi droni. Attorno il nulla, né strade, né scuole. Quanto agli ospedali, quelli costruiti e mantenuti, ad esempio, da Médecins sans Frontières hanno subìto, come a Kunduz, bombe e morte. La morte di chi salvava le vite dei disgraziati colpiti dai jet statunitensi: civili, militari amici, alleati o talebani che fossero. Perché quelle strutture, come fa Emergency, soccorrono tutti. Ma ai generali del Pentagono non stava bene e il 3 ottobre 2015 ordinarono di uccidere quarantadue fra dottori, paramedici e alcuni ricoverati. Ora, nel futuro che la Cia sta programmando per quel governo locale che i politici-fantoccio finora sponsorizzati non son riusciti a realizzare, ci sono gli ex nemici talebani. E mentre si perfezionano gli accordi, l’alter ego finanziario dell’Impero, la Banca Mondiale, fa un po’ di conti e prospetta quel che servirebbe per avviare il “nuovo corso”. Con l’ipocrisia che la caratterizza, la World Bank titola il suo documento “Finanziare la Pace”. Ovviamente si riferisce ai dollari prestati da ‘donatori’ internazionali che presuppongono una contropartita. Il calcolo ammonta a sette miliardi l’anno, per alcuni anni. Un’ennesima linea dell’assistenza in cambio d’una linea politica nazionale decisa sul tavolo di trattative in corso e su quello di un lungo percorso fra i rappresentanti di Washington e quelli di Quetta.
E’ il peggior realismo politico che riporta i turbanti nella Kabul da dove Bush jr si vantava di averli cacciati. Fra le chicche delle proposte della superbanca una spicca nella voce risparmio: anziché pagare gli stipendi a 300.000 soldati dall’efficacia incerta, si potrebbe dimezzare o ridurre ancor più la truppa utilizzando i ben più convinti studenti coranici, così da rafforzare davvero i servizi di sicurezza. Il report, ricordandosi della cruda condizione di povertà d’una buona fetta dei 30 milioni di afghani, soggiogati da quarant’anni di conflitti che hanno azzerato ogni strategia economica (unica eccezione la produzione e il traffico d’oppio in mano a clan, warlords e mafie mondiali), auspica un miglioramento delle condizioni di vita correlato al semplice raggiungimento della pace (sic). Chi all’interno della World Bank rappresenta il Paese ribadisce come  corruzione, clan, veti incrociati hanno prodotto per anni sprechi, aggravio di costi per consulenze estere che, come l’apparato militare d’occupazione,  nutrono solo se stesse. Purtroppo il fenomeno è presente nella stessa cooperazione internazionale, dove sprechi e ruberie di alcuni attori sono una contraddizione tuttora irrisolta. Ulteriore criticità evidenziata il flusso di aiuti. Nel 2010, fase in cui la Casa Bianca puntava alla riuscita del suo “modello di democrazia” a Kabul, le donazioni ammontavano a 4 miliardi, nell’anno che va chiudendosi sono scese a circa mezzo miliardo. E il domani potrebbe essere ancor più magro e vago. Certi capitali investiti sul suolo (anzi nel sottosuolo) afghano sono cinesi. Ma non passano per la Banca Mondiale che si preoccupa d’una concorrenza per condizionare le “linee di pace” del domani afghano.

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