Nella
“palude” afghana
- Nel suo progetto d’espansione ad ampio spettro l’Isis non risparmierebbe il
martoriato territorio afghano. Almeno secondo quanto spera e afferma un
sedicente portavoce dello Stato Islamico, Abu Muslim Khurasani, che tramite un
video ha lanciato i suoi strali contro il governatore della provincia di
Ghazni, accusato di corruzione e reiterate ingiustizie. Questa provincia
centrorientale è separata da quella di Kabul dall’area di Vardak. Il governatore
in questione, tal Musa Khan Akbarzada, ha immediatamente risposto negando gli
addebiti perché, a suo dire, non ci sarebbero stati investimenti né progetti
con finalità speculative. L’attacco del portavoce del Daesh ha toccato gli
stessi talebani che “sotto gli ordini
dell’Isi (l’Intelligence pakistana, ndr)
uccidono innocenti civili”. Per tali motivi l’Isis programma di arrestare e
impiccare questi comandanti, e minaccia conseguenze simili verso quei gruppi
che s’opporranno allo Stato Islamico. Da parte talebana non c’è finora
risposta. Chi ha commentato criticamente l’operato dei miliziani in nero è un
jihadista doc, anche se ormai avanti negli anni, il signore della guerra Abdul
Sayyaf, che riferendosi all’Isis ha detto: “Questo
gruppo sta offrendo una pessima immagine dell’Islam. Le sue attività sono
contro la nostra religione come dimostra la crudele uccisione del pilota
giordano”.
Famiglia
divisa
- La variegata componente talebana vive una fase articolata, di espansione ma
anche di aperture e chiusure fra i clan. Per ammissione di recenti documenti
delle Nazioni Unite i talib controllano stabilmente 7 delle 34 province
afghane, ma altre aree non sono esenti dalla loro presenza. Sempre più spesso si
mescolano alla popolazione senza dare nell’occhio. Un’infiltrazione sociale
alla stregua di quanto compiuto nelle Forze armate nazionali. L’insorgenza contro
l’occupazione Nato è vista dalla gente come un processo accettabile, seppure la
gestione militare e politica d’ogni iniziativa dei turbanti non tiene conto degli
interessi primari di chi vive fra mille difficoltà, indifferentemente in
campagna o nelle città. Contradditoria è la morte procurata ai civili con gli
attentati, che nel 2014 sono sensibilmente aumentati alla stregua dei
bombardamenti Nato. Dalle milizie talebane del sud-est, molto ideologiche e
caratterizzate da un approccio religioso alla gestione amministrativa, si
distinguono quelle raccolte nell’area di Badakhshan (impervio estremo nord-est)
che mostrano tratti particolari. Sia etnici, sono un mix di tajiki e uzbeki,
sia politici. Questi taliban, vagamente allineati col comando centrale dei
combattenti afghani, manifestano fedeltà al mullah Omar. Il quale, a detta di
svariati analisti, è un fantasma mitizzato che aleggia senza che nessuno
l’abbia più visto da tempo.
Omar e gli
indipendenti
- L’ipotesi d’una sua scomparsa non è così peregrina, anche lui potrebbe essere
deceduto sotto le bombe di caccia e droni statunitensi, com’è accaduto ad altri
leader. La provincia del Badakhshan è un angolo strategico dove s’incrociano
tre nazioni (Pakistan, Cina, Tajikistan) e rappresenta uno degli ingressi per
il contrabbando dell’oppio verso l’Europa. Proprio il traffico di questa merce
richiestissima dall’Occidente costituisce una delle maggiori entrate di questo
ceppo talebano sui generis, di cui si
mormora non siano né mullah né studenti. Altri loro finanziamenti provengono da
una sorta di tassa doganale che i guerriglieri, armi in pugno, richiedono a chi
transita sulle strade di fondo valle che controllano da tempo. Fra i pagatori i
commercianti, neppure tanto minuti visto che ci sono multinazionali straniere, di
marmi e metalli ferrosi, ma anche di pietre preziose. Dei giovani che finiscono
fra i taliban del Badakhshan un buon numero è attirato dalla promessa di
salario e cibo. Altri s’accorpano perché non trovano posto nell’esercito
nazionale dopo dispute coi potentati locali e anche contrasti con antichi
combattenti mujahedin. Gran parte dei miliziani sono nati alla fine degli anni
Ottanta, quando i talebani vedevano luce.
Quarant’anni
di guerra
– Di fatto indipendenti godono, comunque, d’una buona fama. Storie di alcuni
abitanti rapiti dai miliziani locali e condotti in rifugi sui gelati monti
dell’Hindu Kush hanno registrato un lieto fine col rilascio dei sequestrati
senza violenza alcuna. Chi temeva la decapitazione e ha visto come i carcerieri
la rifiutavano, continua a ribadire che costoro sono diversi chi aveva
governato a metà degli anni Novanta. Occorre vedere se la minaccia dell’Isis
rivolta a questo prodotto interno del jihadismo locale possa trovare seguito
fra le varie etnie molto legate alle proprie tradizioni. Per tacere del
combattentismo mujaheddin di marca pashtun che ha dato vita a tutte le bande
che si sono divise la nazione dietro i warlords. Quarant’anni di guerriglia che
incrina il mito dell’Armata Rossa, introduce la macelleria della guerra civile,
l’oscura parentesi del governo talebano, la resistenza all’invasione Nato e lo
stillicidio di guerra interna-esterna rappresentano un quadro che nel male più
che nel bene non ha altri esempi al mondo. L’Isis troverebbe pane per i suoi
denti. E’ la terza generazione di afghani che cerca di sopravvivere alla morte
violenta, oltreché per stenti, che non merita questo. E’ un popolo sofferente
che non ha bisogno di aggiungere crudeltà ad angherie, men che meno quelle del
fondamentalismo dei cavalieri del Califfato.
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