sabato 16 agosto 2025

La visita del boia

 


Non sono un terrorista, non sono neppure un pacifista. Sono semplicemente un normale uomo della strada palestinese che difende la causa difesa da ogni oppresso: il diritto di difendermi in assenza d’ogni altro aiuto che possa venirmi da altre parti”.  Lo dichiarava Marwan Barghouti in occasione del suo arresto il 15 aprile 2002, quand’era in corso la Seconda Intifada, e lo statunitense Washington Post ne diffuse il concetto. Marwan è un palestinese di Ramallah e basta già questo per farlo odiare da gran parte degli israeliani, ma è molto di più d’un uomo della strada. Certo, per via s’è forgiato, ha acquisito coscienza umana e politica entrando quindicenne fra le file di Fatah. Una coscienza e un’adesione alla causa del suo popolo per le quali viene perseguitato già a diciott’anni con un primo arresto. In prigione impara la lingua ebraica, liberato ottiene da studente una laurea in Storia e una in Scienze politiche. Diventa un leader, partecipa alla Prima Intifada ed è eletto nel Consiglio legislativo palestinese finendo Segretario generale di Fatah per la Cisgiordania. Un’adesione alla linea laica del partito di Arafat, ma un distinguo sempre più marcato sancito durante la Seconda Intifada, alla quale partecipa con la componente delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, che continuano a praticare ogni tipo di resistenza all’occupazione israeliana dell’Idf e degli insediamenti coloniali, distinguendosi totalmente dal resto del partito. Per questo viene definitivamente arrestato nel 2002 e accusato d’essere il mandante di azioni svolte dalle suddette Brigate durante la rivolta. I pluri ergastoli inflittigli da un Tribunale di Tel Aviv in assenza di prove rappresentano una condanna ideologica a un politico di spicco che, nella fase della rinuncia alla lotta da parte dei vertici di Fatah, proclamava una linea di difesa della popolazione palestinese e del proprio futuro. Visti la vacuità degli Accordi di Oslo e il ben chiaro disegno d’Israele di stravolgerli a suo unico vantaggio. 

 

Barghouti ha sempre rappresentato l’esempio del palestinese, uomo della strada o militante, che non si piega ai voleri della linea ebraica - sionista o religiosa o l’attuale tendenza di sionismo-religioso - non pratica compromessi a svantaggio della questione palestinese, come fa da oltre due decenni l’Autorità Nazionale di Abu Mazen. I punti fermi della creazione d’un vero Stato in terra di Palestina e l’intesa per un diritto al ritorno su quel territorio per la consistente diaspora lo pongono fra i teorici della resistenza, dei diritti e del diritto alla resistenza, alla stregua di Hamas e della Jihad palestinese, e ne hanno serbato popolarità e stima fra la gente. Tutto questo è temuto da Israele ed è perseguitato con le operazioni d’attacco e progressivo sterminio iniziate col “Piombo fuso” del 2009 e proseguite fra la Striscia e la Cisgiordania con cadenza periodica, sino al palese piano genocidiario praticato negli ultimi mesi. E per chi sopravvive a bombe, denutrizione e malattie scientemente scagliate e incentivate, si prospetta una deportazione di massa degna della peggiore memoria storica. Ventitré anni di detenzione durissima hanno trasformato più del normale trascorrere del tempo i tratti somatici del prigioniero Marwan. Al fiero sorriso con le dita a vù che lo ritraeva al momento dell’arresto in alcuni scatti rimasti a lungo l’unica immagine disponibile d’un uomo murato vivo, irraggiungibile dagli stessi parenti e avvocati per il feroce accanimento praticato dalla “giustizia” israeliana, si contrappone il fotogramma che lo ritrae emaciato, quasi imbarazzato davanti al volto d’un tronfio e tormentatore ministro della Sicurezza d’Israele Ben Gvir. Che s’è recato nel luogo di coercizione a schernire il nemico, a provocarlo come fa con gli islamici quando passeggia sulla spianata di Al-Aqsa, a spargere sale sulle ferite fisiche e morali d’un detenuto negli ultimi tempi picchiato e torturato, questo hanno dichiarato gli avvocati. Nel silenzio di tanta libera informazione che delle condizioni di Barghouti e di troppi prigionieri si dimenticava. Mentre i familiari ormai temono per la sua incolumità. “Non ci sconfiggerai” gli ha sputato in faccia il ministro, eppure di quel volto scarno ha paura. Come dei bimbi che affama e dei cronisti che fa assassinare. 

Nessun commento:

Posta un commento