giovedì 12 novembre 2020

Egitto, tangenti per una libertà vigilata

Nell’Egitto repressivo di al-Sisi si rafforza un business particolare. L’illegalità dell’illegalità vede uomini della National Security - il braccio armato che pedina, preleva, tortura e quando serve elimina cittadini alla maniera di Giulio Regeni - che intascando denaro liberano il prigioniero. Tanto lo tengono d’occhio, sanno dove vive, gli impongono perquisizioni domiciliari e appena vogliono lo riacciuffano. Si tratta d’una pratica che può anche sfuggire ai controlli, se mai qualche superiore si premunisse di farli. Oppure chi sta sopra sa e magari guadagna anche lui. Una robetta con cui gli scherani del potere, nel mondo a parte che li utilizza e li protegge, arrotondano stipendi già macchiati di sangue. E’ accaduto ad alcuni detenuti. L’hanno denunciato sui social media sempre in anonimato, perché ciascuno sa quel che rischia venendo allo scoperto. Un ‘pay and go’ (paghi ed esci, ma puoi rifinire in gattabuia), l’altra faccia dello ‘stop and go’ (ti arresto, ti rilascio per poi riarrestarti) praticato da quei magistrati, che periodicamente rimandano i processi, rinnovano le detenzioni di mese in mese, come stanno facendo dallo scorso febbraio con lo studente Patrick Zaky. L’inferno repressivo egiziano è variegato e vanta gironi peggiori di quelli che si sono conosciuti. Prendiamo un detenuto noto come Mohamed Soltan, figlio d’uno studioso di giurisprudenza islamica. Soltan junior ha anche una cittadinanza americana ed era passato per Wadi el-Natrun, il famigerato ‘carcere oscuro’, nel governatorato di Beheira, a 75 km nord dal Cairo, di cui lanciamo un breve vademecum. 

Da testimonianze raccolte attraverso avvocati dei diritti, poiché non si riescono a effettuare sopralluoghi in quella struttura, si sa che i detenuti sono ammassati fino a sessanta in celle di venti metri quadrati. Nel periodo invernale non vengono distribuite coperte. Le celle sono prive di finestre per passaggio d’aria. Non è permesso nessun esercizio fisico, solo in circostanze particolari con un numero minimo di detenuti (situazione non presente da sette anni a questa parte) veniva concessa una passeggiata giornaliera di qualche minuto. Durante visite di familiari, che durano anch’esse pochissimo, 5-7 minuti, sono state denunciate molestie a mogli e sorelle dei reclusi da parte delle guardie carcerarie. Quest’ultime, in svariate occasioni, hanno insultato e percosso i prigionieri davanti ai congiunti. Sono stati presentati esposti per torture inflitte ai reclusi usando bastoni e cavi elettrici, mentre nei mesi caldi li si lascia ignudi per ore sotto il sole e poi li si ‘visita’ con squadrette del pestaggio. Ecco, Soltan ha conosciuto questi trattamenti, perché nell’agosto 2013 era presente al sit-in di protesta contro la rimozione del presidente Morsi e relazionò ad alcuni media in merito alla strage della moschea Rabaa, dove fra i mille e i duemila attivisti della Confraternita islamica vennero massacrati. Il numero non è stato mai rivelato dalle autorità. Dopo un rilascio scaturito da uno sciopero della fame e un intervento internazionale dell’amministrazione statunitense, Soltan ha denunciato a un Tribunale americano l’ex premier egiziano El-Beblawi proprio per i trattamenti subìti nel ‘carcere oscuro’ dove sono passati tanti Fratelli Musulmani.

Però le ritorsioni verso i Soltan proseguono. Un gruppo di suoi cugini in Egitto non sono stati reperibili per giorni. I parenti hanno temuto un rapimento, una vendetta trasversale contro il riottoso Mohamed. Recentemente sono ricomparsi, erano stati fermati dalle forze dell'ordine e per il rilascio forse c'entra il meccanismo descritto.  Un altro Mohamed, il nome è di copertura poiché quest’attivista è perseguitato da sei anni, sta subendo la condizione ora vissuta da Zaky. Dopo un rilascio nel 2018, il giovane s’è visto condannare a tre anni di sorveglianza da trascorrere per dodici ore, in genere tutte diurne, in un commissariato. Lui accetta, non può fare altrimenti. Il suo tempo non è solo sospeso, è pieno di scherni e ulteriori violenze. A un certo punto Mohamed non ce la fa più: nel 2019 denuncia abusi fisici e sessuali ricevuti in certe giornate di permanenza nel posto di polizia. Viene condannato per falso e rinchiuso in galera con una totale incertezza sul futuro. Ne segue un’ulteriore richiesta di rilascio firmata da un giudice, non sappiamo se unta con denaro. Ma voci fondate sostengono che anche diversi magistrati provenienti dall’ambiente militare, e in certi casi privi della laurea in legge, si prestano al mercimonio. Tanto l’imputato resta a vista., ostaggio del loro volere. Ora quel Mohamed è tornato da dov’era partito, in un commissariato, peraltro molto centrale, a Qasr el-Nil, vicino piazza Tahrir. Fra i casi conosciuti prosegue l’andirivieni dal carcere di Tora della madre e della sorella di Alaa el-Fattah, che lo sostengono nelle reiterate reclusioni susseguitesi dal 2006. E’ la tristezza egiziana, che prosegue.

Nessun commento:

Posta un commento