Il neo presidente Ashraf Ghani Ahmadzai era
appena uscito dagli appuntamenti di rito: giuramento solenne su Costituzione e
Corano, accompagnato dall’avversario ora amico e Capo dell’Esecutivo Abdullah Abdullah,
dai deputati anziani Mojaddedi e Sayyaf, quest’ultimo antico signore della
guerra, dai suoi vice presidenti Sarwar Danish più Rashid Dostum, signore della
guerra anche lui, quando mister Cunningham, ambasciatore statunitense a Kabul,
avvertiva il consulente afghano per la sicurezza che il Bilateral Security Agreement era ancora lì in attesa di assenso.
Detto e fatto. In ventiquatt’ore Ghani ha firmato il documento come primo
tributo offerto ai suoi tutori occidentali che in tal modo potranno giustificare
una presenza armata su quel territorio fino al 2024. Poi il Capo di Stato s’è
autoincensato ricordando che dal 1978 lui è il primo a succedere pacificamente
a un predecessore. Eppure, in piena continuità col passato, promuove alla vicepresidenza
un pezzo da novanta del combattentismo criminale qual è l’uzbeko Dostum. Né più
né meno di quanto aveva fatto Karzai con figure della stessa risma: Khalili e
Fahim.
Fra le novità che non cambiano affatto nelle
terre dell’Hindu Kush ci sono gli immarcescibili signori della guerra sempre
pronti a dividersi il Paese in zone d’influenza e spartirsi gli affari. Taluni
parzialmente legali (la divisione dei finanziamenti internazionali), molti
palesemente illegali (i proventi di coltivazione, produzione e smercio degli
oppiacei derivati dal papavero), robetta che fa sorridere più d’una mafia
mondiale. All’Onu lo sanno e non se ne curano, il fatto non costituisce reato
ma reddito e si prosegue. Altra carta di credito vantata dal programma Ghani è
l’unità nazionale con cui si vogliono superare divisioni interne e pericoli
esterni, provenienti dalle frange talebane che lavorano per i fratelli
pakistani. Per ostacolarne i progetti Ghani e Abdullah cercano d’attirare a
loro i fondamentalisti dell’Hezb-e Islami di Sayyaf ed Hekmatyar, signori della
guerra doc. I due sono vicini all’intransigenza religiosa talebana, ma sono d’etnia
pashtun e ipoteticamente sensibili al concetto di nazione; mentre fra i
turbanti c’è chi insegue il sogno del Pashtunistan, un mix territoriale che
unisce i territori di confine fra Afghanistan e Pakistan.
Ieri i Taliban hanno fatto sentire la propria
“vicinanza” al governo con due attacchi, uno nella stessa capitale. Nel vantare
il presunto nuovo clima democratico nazionale Ghani tocca un nervo scoperto
delle varie etnìe e comunità: la giustizia. Sia quella sociale, impossibile per
i mancati investimenti, per un’usurpazione delle ricchezze (pensiamo a quelle
del sottosuolo che stanno dando origine a sfrenate competizioni fra compagnìe
cinesi e occidentali), per il citato accaparramento degli aiuti della
cooperazione internazionale, un business in troppi casi poco trasparente anche
a ovest e colluso coi mafiosi locali che usano indifferentemente computer,
kalashnikov e apparati amministrativi. Proprio il predecessore Karzai, famoso
per aver incentivato il suo clan familiare, ha in più occasioni fatto orecchio
da mercante verso le istanze di giustizia presentate da organismi democratici
che richiedono conforto di legge per i familiari delle vittime della guerra
civile e dell’attuale occupazione e per la mai scomparsa violenza sulle donne. In
tanto clima costruttivo il presidente ha dedicato una consistente parte del suo
discorso alle Forze armate, cui da un quadriennio l’apparato dell’Isaf dedica
attenzione, addestramento e fondi. Circa 300.000 soldati che dovrebbero
controllare e rassicurare la nazione.
Un esercito che tuttora rappresenta una
scommessa vaga, che trova reclute a buon prezzo pagandole fino a 500 $ al mese
in un posto dove c’è chi vive con meno d’un dollaro al giorno, e che vede un
ampio livello d’infiltrazione da parte talebana, come dimostrano i numerosi
attentati effettuati internamente alle basi Nato o nella “città proibita” di
Kabul (che raccoglie le maggiori ambasciate occidentali) fino a colpire i suoi
uomini, alti ufficiali compresi. Col passaggio di alcune consegne a fine 2014 la
lacunosa Afghan National Security Forces dovrebbe sostituire le forze Isaf nel
controllo della sicurezza dei voli civili. Il neo ministro dei trasporti Ali
Najafi sostiene che tutto è pronto, le compagnìe europee e anche asiatiche
vorrebbero un conforto più solido. Occorrerà sondare l’esito di quello che per
ora è l’unica certezza del Bilateral
Agreement: il mantenimento e l’ampliamento delle basi aeree militari
(Kabul, Bagram, Mazar-e Sharif, Shindand, Jalalabad, Kandahar). Per tutto il
supporto che caccia e droni potranno offrire, ora che il fronte della
competizione geostrategica che gli States si autoassegnano s’allunga ben oltre
il Grande Medio Oriente, giungendo sino a Hong Kong.
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