Né Asse del Male né Grande Satana, almeno per sei mesi. I presupposti ideologici,
geopolitici con gravissime ricadute economiche (soprattutto per il popolo
iraniano) si fermano per questo lasso di tempo, necessario a verificare se l’accordo
firmato stanotte a Ginevra fra i tre grandi del mondo (Stati Uniti, Russia,
Cina) più le tre maggiori nazioni europee (Gran Bretagna, Francia, Germania)
con l’Iran potrà reggere in un prossimo futuro. Il passo è breve ma ha un
significato storico per gli attori, un tempo contendenti e oggi dialoganti,
rimasti ostili per decenni. E’ sicuramente il nuovo corso iraniano del
presidente Rohani a mostrare il volto più disponibile, grazie al credito
interno ricevuto col successo alle presidenziali di giugno. Convogliando su di sé
i voti giovanili altrimenti rivolti all’astensione, e riuscendo a spostare gli
orientamenti della Guida Suprema verso ipotesi riformiste, in barba all’asprezza
fondamentalista dell’uscente capo di stato Ahmadinejad e del potente partito
combattente che ne sostiene gli epigoni. L’odierno risultato della coppia
Rohani-Zarif acquista maggior valore perché non solo il decennio del dopoguerra
iracheno, quello del conflitto contro le pretese espansioniste di Saddam durato
dal 1980 all’88 ma la rinnovata aggressività statunitense in Medio Oriente con l’Enduring e Iraqi Freedom, avevano
rafforzato la reazione combattentistica dei pasdaran e dei loro supporter,
laici e clericali.
Le crescenti e dure sanzioni
occidentali facevano il
resto, rinfocolando sì il malcontento popolare per le carenze di merci e i
salari rimasti bassissimi, ma stimolando l’orgoglio nazionale, elevatissimo fra
gli iraniani, contro l’ipotesi di aggressione militare al Paese. Idea che
Israele, e i suoi supporter presenti in casa Neocon in quella Demo, non hanno
mai riposto, che viene però bollata quale pura follìa da esperti di strategia
militare e da molti politologi. L’Iran è troppo popoloso e dotato di raffinate
risorse umane sul fronte tecnico-scientifico per ritrovarselo come avversario, le
ricadute su un’area già infiammata risulterebbero devastanti per gli stessi
aggressori. Comunque la partita delle velleità nucleari iraniane non è per
nulla in discesa. L’Occidente non vuole concedere né le regalìe fatte ad altre
realtà mediorientali e dotate da tempo dell’arma atomica (Israele e Pakistan),
né vuole concedere quello che altre nazioni
(Argentina, Brasile, Giappone, Germania, Sudafrica) hanno ottenuto:
l’uso dell’arricchimento nucleare per solo uso civile. La Repubblica Islamica,
per ora, non ha gli abitanti di qualcuna di queste nazioni ma la sua espansione
demografica già la conduce alla necessità di diversificare la produzione
energetica, sebbene goda di riserve petrolifere e di gas metano fra le maggiori
del mondo. L’intento, anche durante l’amministrazione del presidente basij, cementava l’intera popolazione,
perché gli iraniani, assieme ai propri politici d’ogni tendenza, pensano che il
diritto alla tecnologia nucleare sia un diritto inalienabile.
Come in ogni trattativa ciascuna
delle parti ha guadagnato e ceduto qualcosa. Da un punto di vista tecnico lo stop
all’arricchimento superiore al 5% dell’uranio, il blocco della centrale di
acqua pesante di Arak, il fermo all’istallazione e all’avvìo di centrali di
nuova generazione sono risultati tangibili dei 5+1. Mentre la diplomazia di
Teheran, sbloccando gli oltre 4 miliardi di dollari congelati per quasi un
triennio nelle banche asiatiche, potrà
far giungere alle famiglie iraniane certa merce che scarseggiava addirittura
sul versante alimentare. Politicamente tutti possono vantarsi. D’aver rotto
l’incomunicabilità d’una diplomazia delle parti contendenti incistata da
decenni di contrapposizioni. Di poter mostrare un pragmatismo costruttivo che
va ben oltre le buone intenzioni, cosa che vale per l’establishment di Teheran
e Washington e per lo stesso ruolo giocato da altri colossi mondiali.
Innanzitutto la Russia, già capace di far rientrare un’azione di guerra Nato
quasi decisa contro Asad, e parte attiva nell’apertura verso il nuovo corso
dirigente degli ayatollah. E la Cina medesima, che nella gara alla supremazia
economica mondiale avallando le sanzioni occidentali poteva garantirsi e
restare la grande acquirente degli idrocarburi iraniani, conservando per sé
quote favorevoli di approvvigionamento energetico. Prevale, dunque, la buona
volontà. Per sei mesi.
Nessun commento:
Posta un commento