giovedì 3 aprile 2025

Israel Destruction and Occupation Forces

 


L’ecatombe a Gaza, con tanto di rioccupazione di terra per togliere la Terra a chi seppellisce i suoi morti, rinnovati bombardamenti israeliani sulla base siriana di Tiyas ‘giustificati’ dalla presenza turca in quella struttura aerea militare. Le agenzie internazionali informano come Ankara e Damasco stiano patteggiando una difesa aerea dallo scorso mese di dicembre, a seguito della fuga dal potere di Asad. Dallo stesso periodo Israel Defence Forces ha allungato il chilometraggio con cui occupa da decenni le alture del Golan e iniziato a martellare dal cielo la base denominata T4, quella su cui Erdoğan e al-Shaara stanno concordando d’istallare un sistema di copertura aerea. "Un sistema tipo Hisar sarà schierato al T4 per fornire difesa aerea" aveva annunciato da mesi il portavoce del premier siriano in pectore. In quell’impianto Ankara prevede di utilizzare droni di sorveglianza e armati, compresi quelli con capacità di attacco esteso; a Israele non sta bene e punta a boicottare il piano col fuoco. Il braccio di ferro non fa che aumentare la tensione, l’ennesimo attacco di stanotte – il bombardamento d’una struttura di ricerca scientifica a Barzeh, così riferisce l’agenzia siriana Sana – più uno nella periferia di Hama creano una condizione di conflitto strisciante. Tel Aviv, invece, sostiene di stare a colpire solo depositi militari. Da oltre una settimana le operazioni belliche dell’Idf sono state molteplici, non solo raid aerei. Nella provincia di Daraa l’aggressione s’è sviluppata via terra e conferma la volontà del governo israeliano di ampliare l’area d’occupazione verso il sud-est siriano. La precarietà della gestione amministrativa attuata dal gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Shaam che prova a ‘normalizzare’ del Paese, paga ancor più lo scotto sul fronte bellico contro un avversario altamente tecnologicizzato. Per questo l’ex miliziano ora ‘statista’ al-Shaara spera in una rapida attuazione del monitoraggio dei droni forniti dalla Turchia che potrebbero dissuadere Israele dalle reiterate incursioni dal cielo. Certo, non solo la fornitura armata ma la presenza di ‘consiglieri turchi’ a favore di Damasco viene considerata da Israele una minaccia diretta alla propria nazione, che sta anche lamentandosi con l’alleato statunitense della proposta della Casa Bianca di ridimensionare o cancellare del tutto le sanzioni introdotte all’epoca dell’acquisizione turca del sistema missilistico S-400. Rinunciando alle rampe russe, da smontare e immagazzinare, Ankara verrebbe blandita con forniture made in Usa, legate però alla versione Patriot Pac-3, missili versatili ma meno rapidi dei concorrenti. Trump comunque strizza l’occhio a Erdoğan, in un rimescolamento dei pacchetti d’offerta proporrebbe anche di aprire le porte a forniture di F-35, sospesi al momento dell’idillio fra i presidenti russo e turco. Il turbinìo mercantile trumpiano è a getto continuo, con e senza dazi. Netanyahu è ridotto a spettatore, sebbene prosegua a ricevere da Oltreoceano il benestare di stragista su Gaza per l’ideuzza del resort da far seguire alla deportazione gazawi. A cui può aggiungersi l’assenso sul ‘Levante siriano’ da annettere manu militari  come accade da quasi un sessantennio per il Golan.


 

mercoledì 2 aprile 2025

Afghanistan, tanto fondamentalismo scarsa sanità

 


Senza dottori, senza personale sanitario, strutture e spesso senza cure. Accade nell’Emirato Islamico dell’Afghanistan dove la popolazione subisce i doppi effetti della presa di potere talebano dall’estate 2021 e dell’embargo internazionale al regime. Anno dopo anno i vertici del potere interno hanno limitato e poi impedito il lavoro femminile negli ospedali e nei centri sanitati che sono drasticamente diminuiti per il graduale taglio di fondi operato dai Paesi occidentali che applicano sanzioni al governo fondamentalista. Di fatto le province afghane negli ultimi quattro anni registrano un dimezzamento di quest’impianti, passati da tremila a millecinquecento.  Con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca gli aiuti statunitensi all’estero, non solo verso l’Afghanistan, sono stati bloccati e la popolazione dell’Emirato ha perso altre 206 unità sanitarie. Tali restrizioni, unite al considerevole numero di medici che aveva abbandonato il Paese già con la salita al potere dei taliban, costringe le madri a spostamenti su distanze sempre maggiori per curare e sottoporre a profilassi varie, come l’antipolio, neonati e figli minori. Viaggi resi difficoltosi non solo dalle carenze di vie e mezzi di trasporto, ma dalle imposizioni sostenute dal Gotha dei turbanti stretto attorno alla Guida Suprema Akhundzada. Suo l’obbligo della presenza del mahram (un parente maschio) durante spostamenti significativi delle donne, fattore non sempre di facile soluzione che va a discapito della finalità del movimento e blocca volutamente  il mondo  femminile in casa e nei luoghi d’origine. I rigidi princìpi della Shari’a con cui i ‘duri e puri’ del movimento talebano  negano da tempo l’occupazione femminile in uffici, scuole, centri sanitari oltre a inibire un diritto - limitato ma parzialmente fruibile coi governi sostenuti dall’occupazione Nato - crea oggettive carenze nelle attività di assistenza indispensabili alle figure più deboli: malati, bambini, anziani. Nell’ultimo studio proposto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (l’organismo che la linea trumpiana perseguita e vuole smantellare)  proprio le donne afghane in generale, dunque non solo le anziane, risultano le più penalizzate. I dati del 2023 calcolavano che su 15 milioni di donne residenti solo 4 milioni hanno potuto ricevere assistenza. Così il genere femminile lamenta un calo dell’aspettativa di vita, costellata peraltro di malattie. Statistiche sempre del 2023 stilate dall’Organizzazione mondiale per la sanità mostrano per le donne un calo medio di due anni, da 63,2 a 61. Le carenze sanitarie si potrebbero essere abbattute sullo stesso Akhundzada, sempre schivo nell’apparire pubblicamente, ma da troppo tempo in disparte. Un’infezione al Covid 19 nel periodo più acuto della pandemia lo dava malato e si è avanzata l’ipotesi d’un suo decesso tenuto comunque celato per non destabilizzare il gruppo di comando stretto attorno a due altri duri: i ministri dell’Interno Sirajuddin Haqqani e quello della Difesa Mohammad Yaqoob. Ciascuno ha alle spalle clan potentissimi, gli Haqqani vicini alle madrase deobandi pakistane, mentre Yaqoob, figlio maggiore del defunto mullah Omar, imparentato al ceppo pashtun dei Ghilji gruppo di potere radicatissimo nelle province di Kandahar e Zabol. Al di là della storia che li fa temibili guerrieri, la dinastia Hotak dei Ghilji è di strada e di casa a Quetta, la città pakistana dove si riunisce la più importante Shura talebana. E’ lì che prese avvìo il movimento degli studenti-combattenti svezzati da Omar. Sunniti di scuola hanafita, sono fra gli islamici più dogmatici e intransigenti e, al di là delle diatribe interne con cui s’è detto che Omar non morì per infezione ma per una fronda organizzata da Mansoor, a sua volta ucciso da un drone statunitense, chi prende in mano la guida talebana assume posizioni oltranziste per tradizione. S’era ipotizzata una direzione più morbida con Abdul Baradar, detenuto per otto anni in Pakistan e liberato su richiesta statunitense proprio durante il primo mandato di Trump, ma dopo un incarico da vice primo ministro, il suo astro nel nuovo Emirato s’è offuscato. Comandano i fondamentalisti.