
Se i giardini
Saraçhane, nello
storico quartiere di Fatih, diventeranno una nuova Gezi Park, a distanza di
dodici anni dalla rivolta che ha creato una frattura fra un pezzo della
città-simbolo e Recep Tayyip Erdoğan
suo cittadino più illustre e sindaco e premier e presidente, si vedrà. Anche
quella protesta partì in sordina, incendiandosi lungo un percorso temporale di
settimane e finendo nel sangue d’una lacerante repressione. Da allora iniziava
ad acuirsi il divario fra un Islam politico reinventato proprio dal suo figlio
di Kasimpaşa e il kemalismo che l’aveva persino
soffocato. Anche allora magistrati, su imbeccata di militari e politici, decidevano cosa si poteva dire e fare
quando Erdoğan
paragonò moschee e caserme, minareti e baionette, fedeli e soldati –
riprendendo peraltro versi del poeta Gökalp – finì in galera, ma non per molto.
Il Novecento stava per chiudere il suo ciclo e l’uomo nuovo della Turchia che,
con quella condanna, avrebbe potuto abbandonare la politica ritrovò a breve tutte
le opportunità, moltiplicandole per mille. Potrebbe, dunque, ben sperare
l’attuale sindaco Ekrem İmamoğlu incarcerato mercoledì con
accuse più materiali d’un reato ideologico, sebbene i suoi difensori e i
fratelli del partito repubblicano erede del kemalismo storico, parlino di
persecuzione ideale contro un avversario reale. L’unico, sostengono, in grado di mettere in ginocchio
l’attuale presidente e il suo sistema alle elezioni del 2028. Che, però, sono
lontane abbastanza per far sì che i fatti interni al Paese: la svalutazione
pazzesca della lira, la girandola di ministri economici in disaccordo con
l’eterodossa “cura” voluta dal presidente in persona, i ripetuti tagli dei
tassi d’interesse da parte della Banca Centrale e un carovita angosciante, risultino meno spiazzanti rispetto al ruolo
internazionale giocato dalla Turchia erdoğaniana
sullo scacchiere regionale e globale.

L’elezione che avrebbe dovuto scalzare Erdoğan dal potere nel maggio
2023, in fondo gli ha fatto trovare consensi più grazie al suo pragmatismo
nazionale e internazionale che a seguito dell’inadeguatezza dell’alternativa, l’allora
leader del Chp Kılıçdaroğlu. Ma era il programmino repubblicano a
difettare sebbene ci sia chi pensa che col rampante e determinato İmamoğlu sarebbe stata un’altra storia.
I suoi sostenitori che in queste ore nel recinto di Saraçhane, ma pure ad
Ankara, Izmir e nell’originario distretto della Trebisonda urlano invettive su
polizia, giudici e governo in carica, imprimono sui cartelli la speranza nel conducador.
Lo definiscono Cesare, lo vogliono opporre al Sultano, quasi servisse un uomo
forte contro l’uomo degli strappi e della forza. In questo la piazza Saraçhane
dista da quella di Gezi Park non solo per collocazione urbana nella metropoli
sul Bosforo. E’ l’elemento ideale che le distingue. Per il sindaco indagato c’è
un sostegno di partito, magari anche studentesco, e forse milioni di
istanbulioti arriveranno. A Gezi c’era la gioventù ribelle e senza partito. Anarchici
e bohémien, mamme ambientaliste e inquilini di d’una Galata sempre più
snaturata dall’affarismo, comunisti non ancora arrestati e i giovani turchi del
Terzo Millennio molto diversi da chi sotto quel nome dette avvìo al nazionalismo
razzista. Peraltro nelle enclavi cittadine dove l’islamismo non è di moda, da
quelle che amoreggiano fra Karaköy
e Üsküdar,
l’entusiasmo per İmamoğlu non è scontato. Gli alternativi lo valutano come
un’altra faccia del sistema, targato con sigla politica differente, ma non
certo un innovatore in fatto di morale, diritti, visione del mondo. Lo scontro
ufficiale ha ruotato attorno alle dichiarazioni del capo del Chp Özel: "İmamoğlu
ama il suo Paese e la sua gente; non è un ladro o un terrorista", cui
il ministro della Giustizia Tunç risponde: "Chi occupa posizioni di
responsabilità deve mostrare maggiore attenzione nelle dichiarazioni".

Per ora, secondo la legge vigente, la certezza è
che entro quattro giorni (dunque domani) i fermati dovranno essere rilasciati o
incriminati. Su İmamoğlu
pesano sette imputazioni. La corruzione starebbe alla base delle tangenti
richieste a mezzo dell’attività di Medya A.Ş. che così si
descrive sul suo sito ufficiale “Filiale della municipalità
metropolitana di Istanbul fondata nel 2011, siamo tra i pionieri del settore
dell'editoria digitale con i nostri canali pubblicitari e promozionali interni
ed esterni dislocati in ogni angolo della città… Siamo un'agenzia di
comunicazione digitale a 360°. Raggiungiamo milioni di cittadini sulle strade,
nelle piazze e sui mezzi pubblici, stabilendo una comunicazione ininterrotta
con gli abitanti nelle fermate degli autobus, rastrelliere fisse, mega-luci e i
nostri schermi digitali dislocati in tutta la città. In IBB TV, nelle aree di
nostra proprietà, come gli schermi esterni, o nei media che utilizziamo come
strumenti di trasmissione, come i social media e Modyo TV. Produciamo contenuti
in diversi formati sugli investimenti cittadini dell'IMM, sulle attività
culturali e artistiche, sugli sviluppi tecnologici e sulle attività sportive, e
trasmettiamo in diretta le riunioni del Consiglio e le gare d'appalto dell'IMM
tramite IMM TV”. Insomma un colosso, addentato dal molosso giudiziario
che gli attribuisce nel percorso di assegnazione di gare d’appalto la richiesta
di tangenti alle varie imprese. Il sindaco sarebbe in combutta con tutto quest’apparato.
Altre accuse, ovviamente da
provare, comprendono la coercizione di uomini d'affari a versare contributi
finanziari illegali, il coinvolgimento in transazioni fraudolente tramite
persone autorizzate a riciclare fondi ottenuti illegalmente e l'utilizzo delle
cosiddette "riserve segrete di denaro contante" gestiti da
intermediari per facilitare i trasferimenti e le riscossioni di denaro.

Un'altra
imputazione riguarda la manipolazione sistematica delle offerte comunali
relative agli spazi pubblicitari esterni. I procuratori sostengono che le
società affiliate hanno istituito società di copertura per fingere transazioni
commerciali con filiali municipali, gonfiando i valori contrattuali per
giustificare guadagni illeciti sempre attraverso tangenti. E ancora: frode su
vasta scala che coinvolgeva progetti municipali inventati e inesistenti
destinati unicamente a nascondere l'appropriazione indebita di fondi pubblici.
I magistrati affermano che i dati personali
appartenenti ai residenti di Istanbul sono stati acquisiti illegalmente e
sfruttati per garantire la continuità operativa della rete criminale. Almeno in
questa serie di accuse ce n’è per confermare la detenzione. Ci s’aggiunge anche
il presunto coinvolgimento nel favorire l'organizzazione terroristica Pkk. La procura dice che il sindaco, consapevolmente e volontariamente, ha
partecipato a un "consenso urbano", una collaborazione
elettorale strategica tra il Chp e il partito pro kurdo Dem, attuato
nelle amministrative dello scorso anno. E poi che simpatizzanti e affiliati
dell'organizzazione terroristica siano stati collocati all’interno dei
municipi. Da domani gli scenari possibili per l’imputato più illustre
potrebbero risultare: 1) assoluzione
o rilascio in attesa del processo. İmamoğlu potrebbe riprendere le sue funzioni di sindaco senza
interferenze immediate. 2) Sebbene liberato, il Ministero dell'Interno potrebbe rimuoverlo
dall'incarico, citando
un'indagine in corso sul terrorismo e sostituirlo con un fiduciario governativo.
2) Se arrestato per accuse di terrorismo, il Ministero dell'Interno
assegnerebbe un fiduciario
per sostituirlo. 3) Quest’imputazione
lo farebbe
decadere anche se venisse inizialmente liberato. 4) Se
fosse formalmente arrestato per aver guidato un'organizzazione criminale con accuse
di corruzione, il comunale si riunirebbe per eleggere un nuovo sindaco, senza una persona nominata dal governo.