Bisognerà capire se l’isteria che sta montando attorno all’attentato di Pahalgam nel Kashmir indiano, che di sangue ne ha sparso e di tensione pure, potrà rimanere circoscritta senza ulteriori picchi o se si è davanti a un’escalation su cui l’opinione pubblica e certi estremismi organizzati, istituzionali e non, già preparano un livello di violenza ulteriore e superiore. E’ il mondo indiano, colpito e scosso, che lancia pericolosi segnali. A cominciare da quelli attuati da reparti dell’esercito di Delhi che nella zona dell’attentato hanno aperto il fuoco e demolito abitazioni dove ci sarebbero presunti terroristi islamici o famiglie fiancheggiatrici. Prove scarse o inesistenti, ma vendetta innescata. Come quella che denunciano kashmiri musulmani espulsi in queste ore da case che proprietari di fede hindu non vogliono più affittargli. O quelli pestati per via che accompagnano esibizioni di pura intolleranza, sempre a sfondo confessionale, organizzate da gruppi politici e paramilitari indiani. Shev Sena, fra i sostenitori dell’hindutva assieme al Rashtriya Swayamsevak Sangh, le inscenano in varie località bruciando bandiere pakistane e aggredendo musulmani. Il governo di Islamabad nega ogni copertura agli attentatori fondamentalisti (Lashkar-e-Tayyiba o altri) e comunque non è disposto a subire accuse infondate e ricatti di Delhi, come quello sul blocco delle acque del bacino dell’Indo (minaccia peraltro la cui attuazione è tutta da verificare). Frattanto anche i propri orgogliosi, puntigliosi e intriganti militari si pongono in stato d’allerta puntando armi sul chilometrico confine interno fra le aree kashmire reciprocamente controllate. Mentre la stampa d’opposizione indiana lancia un’ipotesi che sui social tracima e dilaga con ogni sorta d’aggiunta.
Non è, non può essere una similitudine, ma si propone un sospetto: come per l’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, Israel Defence Forces s’è fatto cogliere volutamente “impreparato” anche nella vallata di Pahalgam i numerosissimi paramilitari indiani, ovunque presenti e vigilanti, sembrano aver voltato la testa altrove. Per creare il precedente dell’aggressione sanguinaria? Non ci sono certezze, ma ipotesi tante, sostiene la stampa anti Modi. Oppure il governo di Delhi, che da circa un lustro ribadisce di controllare ogni angolo dell’area attorno a Srinagar proprio per sostenere turismo e affari a vantaggio di molti ma non dei kashmiri islamici, sta bluffando sulla sicurezza, e mobilita un’infinità di divise non in funzione antiterroristica bensì per l’ordine pubblico interno. La congettura gira su alcune testate, sui social, per ora nessun partito indiano la riprende per inchiodare Modi e il suo staff, a cominciare dal ministro dell’Interno Shah. Invece il riferimento alla vicenda di Gaza balza nella mente dei militanti più estremisti dell’hindutva che invocano un “metodo Israele” anche per il Kashmir, inteso come pratica della terra bruciata e di annientamento della presenza islamica nella regione. Certo, si tratta dello sfogo più fascista e sciovinista che la rete raccoglie e rilancia, ma è il ventre immenso di quella politica che ha trovato sponda nel partito di governo, Bharatiya Janata Party, e vuole omologare la società indiana con ogni mezzo, lecito o meno. E’ il prosieguo di quanto l’entourage di Modi coi suoi predicatori arancioni sta diffondendo da anni. Il caso più noto e infuocato riguarda il premier dell’Uttar Pradesh Yogi Adityanath, che come altri monaci siedono in Parlamento e vogliono radere al suolo qualsiasi convivenza verso minoranze non così minute come i duecentocinquanta milioni d’islamici e i sessanta milioni di cristiani indiani.