domenica 21 giugno 2020

Layla, la caparbia madre davanti al lager di Tora


La madre coraggio del Cairo è amorevole come ogni madre, caparbia come ogni donna, determinata come ogni attivista. Ultrasessantenne, docente di matematica all’università e ora in pensione, genitrice di Alaa Abdel Fatah un antico capro espiatorio della repressione, Layla Soueif si reca da giorni davanti alla prigione di Tora. Lì il figlio è rinchiuso come migliaia di oppositori. Gli porta del cibo e un ricambio, è in ambasce per le sue condizioni psicofisiche e per quelle sanitarie, visto che l’epidemia di Coronavirus impazza anche in Egitto e la situazione igienica delle carceri è preoccupante. Le è stata promessa una lettera scritta da Alaa che non le viene mai consegnata. Ma Layla persevera. Si approssima al portone della terribile sezione Scorpion e attende. Non teme nulla, ha da perdere la libertà, un bene messo a repentaglio di continuo dal regime di Sisi, però quello stato l’ha perso egualmente. Con la detenzione del figlio è come se fosse reclusa anche lei, dunque non demorde. Sfida gli oltre quaranta gradi d’una temperatura che comincia a essere inclemente, reclama la missiva promessa. Così per intimorirla, sul marciapiede dove stazione con una borsa e un seggiolino, s’è presentato un uomo distinto che le ha sussurrato qualcosa, poi ha lasciato il campo a un gruppo di agenti, chi in divisa chi in abiti civili, che hanno allontanato la donna e sua figlia Mona all’angolo della strada. 
Altri parenti di detenuti hanno scattato una foto che è finita sui social. Le voci della rete hanno riconosciuto l’uomo, è il tenente colonnello Muhamad al Nashshar, l’ennesimo sgherro del sistema dell’intimidazione e repressione oliato da Sisi, quello su cui i coniugi Regeni vorrebbero si rompesse il velo del silenzio e si giungesse a incriminare i torturatori e assassini del figlio Giulio. Però questo modello Sisi non vuole toccarlo. E’ sulle angherie ordinate a certi poliziotti, e militari, e mukhabarat che il presidente ha consolidato il suo Stato di terrore. L’intimidazione diretta è diventata la prima fonte dell’escalation della paura, poi è subentrata la paura istillata indirettamente tramite il meccanismo  dell’ipotesi d’un reato enorme - l’attentato alla sicurezza nazionale - che può venire addebitato a piacimento, senza prove, nell’obbedienza a tesi che una magistratura acquiescente e parallela al potere della lobby militare sta praticando con l’arresto pro tempore, rinnovato quindicinalmente all’infinito. E’ l’illegalità plasmata secondo leggi manipolatorie rivolte contro la libertà d’opposizione, di stampa, di parola, di pensiero, di esistenza. E’ questa tipologia di madre, di cittadina, di coraggiosa che la politica del diritto dovrebbe sostenere e additare internazionalmente un governo che da anni ha posto il suo mortale ginocchio sul collo degli egiziani liberi. E preme. Fa finta di nulla e preme.

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