La madre coraggio del
Cairo è amorevole come ogni madre, caparbia come ogni donna, determinata come
ogni attivista. Ultrasessantenne, docente di matematica all’università e ora in
pensione, genitrice di Alaa Abdel Fatah un antico capro espiatorio della
repressione, Layla Soueif si reca da giorni davanti alla prigione di Tora. Lì
il figlio è rinchiuso come migliaia di oppositori. Gli porta del cibo e un
ricambio, è in ambasce per le sue condizioni psicofisiche e per quelle
sanitarie, visto che l’epidemia di Coronavirus impazza anche in Egitto e la
situazione igienica delle carceri è preoccupante. Le è stata promessa una
lettera scritta da Alaa che non le viene mai consegnata. Ma Layla persevera. Si
approssima al portone della terribile sezione Scorpion e attende. Non teme
nulla, ha da perdere la libertà, un bene messo a repentaglio di continuo dal
regime di Sisi, però quello stato l’ha perso egualmente. Con la detenzione del
figlio è come se fosse reclusa anche lei, dunque non demorde. Sfida gli oltre
quaranta gradi d’una temperatura che comincia a essere inclemente, reclama la
missiva promessa. Così per intimorirla, sul marciapiede dove stazione con una
borsa e un seggiolino, s’è presentato un uomo distinto che le ha sussurrato
qualcosa, poi ha lasciato il campo a un gruppo di agenti, chi in divisa chi in
abiti civili, che hanno allontanato la donna e sua figlia Mona all’angolo della
strada.
Altri parenti di detenuti hanno scattato una foto che è finita sui social.
Le voci della rete hanno riconosciuto l’uomo, è il tenente colonnello Muhamad
al Nashshar, l’ennesimo sgherro del sistema dell’intimidazione e repressione
oliato da Sisi, quello su cui i coniugi Regeni vorrebbero si rompesse il velo
del silenzio e si giungesse a incriminare i torturatori e assassini del figlio
Giulio. Però questo modello Sisi non vuole toccarlo. E’ sulle angherie ordinate
a certi poliziotti, e militari, e mukhabarat
che il presidente ha consolidato il suo Stato di terrore. L’intimidazione diretta
è diventata la prima fonte dell’escalation della paura, poi è subentrata la
paura istillata indirettamente tramite il meccanismo dell’ipotesi d’un reato enorme - l’attentato
alla sicurezza nazionale - che può venire addebitato a piacimento, senza prove,
nell’obbedienza a tesi che una magistratura acquiescente e parallela al potere
della lobby militare sta praticando con l’arresto pro tempore, rinnovato quindicinalmente
all’infinito. E’ l’illegalità plasmata secondo leggi manipolatorie rivolte
contro la libertà d’opposizione, di stampa, di parola, di pensiero, di
esistenza. E’ questa tipologia di madre, di cittadina, di coraggiosa che la
politica del diritto dovrebbe sostenere e additare internazionalmente un
governo che da anni ha posto il suo mortale ginocchio sul collo degli egiziani
liberi. E preme. Fa finta di nulla e preme.
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